Nella giornata del 25 settembre 2020, si è tenuto a Roma, una conferenza dal titolo “La strategia europea di bioeconomia: scenari e impatti territoriali, opportunità e rischi” alla quale hanno preso parte Società scientifiche, Università e Centri di ricerca. Sono intervenuti il presidente Giovanni Damiani e il vicepresidente Bartolomeo Schirone dell’associazione GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, per illustrare gli impatti della bioeconomia sulla biodiversità e sulle foreste.#
E’ stato dunque affrontato il discusso tema della bioeconomia, definita dalla Commissione europea, attraverso una sua proposta realizzata nell’anno 2012, come un’opportunità d’uso delle risorse biologiche come materie prime per la produzione di energia (Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe aggiornata nel 2018).
La bioeconomia di cui si parla oggi, è solo un falso modello di sostenibilità, ambiguamente presentato come una possibilità attuabile e sostenibile, in cui vengono ridotte le emissioni di carbonio, ma ancora una volta, le risorse naturali vengono assottigliate, con una condotta antropocentrica.
Nella strategia “Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe”, infatti, emerge l’implicita intenzione di alterare i preziosi equilibri della natura e le sue ricchezze, perché il sistema ambiente, ancora un volta, viene trasformato in un erogatore di servizi e beni preziosi da sottrarre senza tregua. E’ chiaro che la domanda mondiale sia un’inevitabile conseguenza della crescita della popolazione nel mondo e del sempre più ingente rischio di esaurimento terminale delle risorse, ma, per ovviare alle pressioni sull’ambiente, è indispensabile intraprendere una svolta radicale nelle modalità di produzione, di distribuzione e di trasformazione dell’energia ed è altresì fondamentale saper scegliere dove attingere le risorse.
Come potremo ricorrere alla bioeconomia oggi? La risposta non sarebbe da indagare nel suffisso “bio”, ma proprio nel termine “economia”, il cui significato è ”casa”: la svolta sarebbe ripartire dalla nostra casa, in sensu lato dalla nostra società, con un’ottica inedita: una società che si riscopra parte integrante della natura, che possa prestare ascolto ed assecondare i ritmi naturali, senza mai doverli manipolare, per non incorrere nella distruzione, non costringendo l’assetto del territorio a cambiare a nostro piacimento, conturbando gli spazi territoriali a favore di sempre più impianti di colture produttive, abbattendone i tempi di crescita, con la perdita di ricchezza di diversità biologica e di protezione dal dissesto idrogeologico.
Oggi, abbiamo bisogno di ispirarci a dei modelli di riferimento, passati e presenti, come gli economisti Georgescu-Roegen e Latouche, che nel 2020, ai sovraumani ritmi a cui siamo costretti, potrebbero risultare anacronistici, ma invece, rappresentano la chiave di svolta per la nostra società: “più è meglio” diventerebbe “poco è abbastanza”. Così, potremo riscoprirci parte di questa Terra, camminando in punta di piedi sugli esili fili che si intrecciano nella preziosa trama del complesso equilibrio della natura, denudando le orecchie ai suoi meravigliosi suoni ma anche ai suoi meravigliosi silenzi.
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