Una cintura forestale periurbana per migliorare la qualità della vita in città

Una cintura forestale periurbana per migliorare la qualità della vita in città

Non basta una coscienza ambientale. Non c’è cambiamento senza conoscenza e senza conoscenza non si fanno scelte coraggiose

Daniele Zavalloni, Geografo, Segretario associazione GUFI

  1. La necessità di acqua e aria pulite

Il Guardian, in un editoriale della caporedattrice Katerina Viner[1] pubblicato in autunno del 2019, ha dichiarato che il temine “cambiamento climatico” non ha la forza per descrivere la drammaticità del momento: di fatto il termine non chiarisce le conseguenze delle scelte che l’umanità ha fatto nel passato. È più chiaro parlare di “collasso climatico” che, di fatto, è già in atto da molti anni. Quello che stiamo subendo è il nuovo clima con il quale dobbiamo convivere e bisogna procedere, nel poco tempo rimasto, a una drastica riduzione delle emissioni dei gas serra e all’estrazione dall’atmosfera di quanto vi è stato immesso in eccesso rispetto alle capacità portanti del Pianeta. Concordiamo pienamente con la scelta del Guardian! Non sappiamo cosa possa riservarci l’imminente futuro; anche se i segnali sono evidenti e inequivocabili.

Ma di là di ogni cambiamento climatico, l’uomo, ognuno di noi, ha due necessità alle quali non può rinunciare perché sono vitali e irrinunciabili: il bisogno di aria pulita e di acqua pulita. Questi due beni, tuttavia, sono sempre meno disponibili per le nostre città.

Gli unici esseri viventi che possono produrre aria pulita e acqua pulita in grande quantità, oltre ad assorbire rapidamente anidride carbonica, sono i vegetali, e questa produzione si manifesta in quantità decrescente a seconda che si considerino gli alberi, gli arbusti e le piante erbacee.

Questa funzione viene svolta in modo preponderante da una copertura forestale adeguatamente strutturata, che si connota funzionalmente/strutturalmente come “ecosistema[2]”, senza nulla togliere al ruolo che svolgono le alberature stradali o agli alberi dei parchi urbani, anch’essi importanti, ma che non costituiscono un ecosistema.

L’ecosistema in quanto tale non ha bisogno di nessuna manutenzione. Solo un rimboschimento – ecosistema artificiale di natura forestale – nella fase iniziale di impianto può avere necessità di manutenzione, in particolare quando piantiamo gli alberi provenienti da vivaio. Prelevare piante nate in vivaio è una soluzione che di solito si adotta per accelerare i “tempi” di formazione di un ecosistema forestale, anche se molte volte è solo un’illusione; di fatto, se avessimo tempo di aspettare, il bosco arriverebbe da solo.

Sappiamo benissimo che il “tempo non lo possediamo” ma possiamo solo “vivere il tempo”, ed è per questa ragione che riteniamo sia importante raccogliere semi di specie forestali, per realizzare le fasce boscate periurbane, mentre “viviamo il tempo”.

Sono i parchi urbani che hanno necessità di “manutenzione” cioè di cura, di attenzione affinché possiamo frequentarli agevolmente, anche da parte persone con disabilità; alla stessa maniera, anche se per altre ragioni, hanno bisogno di attenzione ed eventualmente di manutenzione le alberature stradali, e soprattutto hanno bisogno di esperti che smettano di adottare la pratica della castrazione delle medesime gabellandola per potatura, pratica che è all’origine, in molti casi, della instabilità e della pericolosità delle piante.

Una città con un’adeguata dotazione di alberi beneficia di tutti i vantaggi che questi possono apportare, a cominciare dall’effetto tampone nei confronti della temperatura che durante l’estate può ridurre di 4 C° rispetto alle zone aperte mentre in inverno può innalzare in egual misura le temperature mitigando i rigori della stagione.

Ma è sulla qualità dell’aria e dell’acqua che si manifestano gli effetti più consistenti.  L’aria è depurata delle particelle inquinanti che sono intrappolate e trattenute dalla superficie scabrosa o pelosa delle foglie e, in molti casi, assorbite dalle piante in cui il cosiddetto “scambio gassoso” con l’atmosfera è continuo; così come sono ininterrotti l’assorbimento di CO2 e la cessione di ossigeno.

L’acqua è depurata a livello di radici, sia direttamente a opera della componente microbica del suolo e simbionte – basti pensare alla fitodepurazione delle acque reflue – sia attraverso i processi evapotraspirativi. Ma gli alberi, con il suolo e con le comunità viventi in esso contenute, svolgono anche una fondamentale azione di regolazione del ciclo dell’acqua, regimandola quando è in eccesso, conservandola e, addirittura, rendendola disponibile quando scarseggia in presenza di eventi meteorici ridotti o nulli quali la pioggia o la neve.

Tra i servizi ecosistemici che gli alberi svolgono ci sono quelli che incidono sulla salute fisica e sulla salute psichica, e i cittadini dovrebbero fare proprio questo messaggio che è prima di tutto un messaggio culturale, leggendo con un occhio e un’attenzione diversa la presenza dell’albero in tutti i luoghi possibili, per il loro apporto alla qualità di vita della città.

Pertanto, è possibile dare una risposta concreta alla necessità/esigenza di acqua e aria pulita nelle nostre città attraverso la realizzazione di fasce boscate periurbane

Nell’accezione comune, il bosco è collocato in montagna, che è ritenuto il luogo per eccellenza per ospitare questi ecosistemi, ed è quasi sempre lontano dalla città.

Culturalmente il bosco è distante dal pensiero del “cittadino”, non gli appartiene e difficilmente è accettabile, addirittura non pensabile come “unità strutturale” in ambiente periurbano.

Solitamente, il bosco è il luogo delle vacanze estive, delle passeggiate lungo i sentieri ben segnati dai quali guardiamo il bosco a distanza, forse perché di fatto non abbiamo il coraggio ad entrarvi in contatto perché suscita paura.

Pertanto la progettazione e la costruzione di fasce boscate periurbane necessitano, preliminarmente, di quattro condizioni, tutte di natura culturale, condizioni che sono imprescindibili affinché l’intervento possa attuarsi e durare nel tempo:

  • La prima condizione: riguarda il coinvolgimento della Pubblica Amministrazione che deve avere il coraggio di farsi carico della scelta di realizzare le fasce boscate periurbane, in quanto l’intervento deve essere prima di tutto di natura pubblica.

Quando affermiamo che ci vuole coraggio ci riferiamo al “coraggio culturale”, perché l’unico rischio che la Pubblica Amministrazione può correre realizzando le fasce boscate periurbane è quello di migliorare l’ambiente circostante la città. Ma non sarà solo la città che ne trarrà beneficio! È arrivato il momento storico del fare con interventi strutturali, mentre purtroppo, troppe volte, si ascoltano solo slogan.

Si fa a gara per vedere chi la spara più grossa: “Pianteremo 4.500.000 (quattro milioni cinquecentomila) piante!” Qualche altro alza il tiro: “Pianteremo 60.000.000 (sessanta milioni) di piante”. Nessuno però che sappia dire dove verranno piantati gli alberi, ma soprattutto quando saranno piantati, come saranno accuditi nelle fasi iniziali di attecchimento e di crescita, come saranno difesi; piccoli dettagli di non poco conto! Rischiano di essere slogan privi di progettualità. Slogan oltre tutto pericolosi quando vengono lanciati da chi propugna il taglio degli alberi adulti esistenti per bruciarli nelle centrali elettriche a biomasse, dicendo che “tanto ne piantiamo di nuovi”.

  • La seconda condizione: si riferisce all’interazione tra pubblica amministrazione e cittadinanza/opinione pubblica. Infatti, le scelte di chi amministra una città sono condizionate dalle richieste che un’opinione pubblica ben informata (noi cittadini) riesce a esprimere. Affinché la richiesta sia accolta, deve essere manifestata a piena voce e soprattutto deve essere corale. Se manca la coralità il progetto di fasce boscate periurbane rimane il pensiero/desiderio di pochi. Ma è pur vero che un progetto prima che diventi tale va sognato.

  • La terza condizione: prevede che l’opinione pubblica sia in grado di formulare una richiesta articolata e motivata. Qui l’ingranaggio si blocca, perché spesso l’opinione pubblica non ha avuto modo di informarsi a sufficienza. Purtroppo, è noto che l’uomo ha paura del bosco e ciò è dovuto a un’intensa dose di pregiudizi/disinformazioni che sono duri a morire. È una paura che parte da molto lontano, ma che non porta da nessuna parte! Può essere l’occasione interessante per un nuovo processo selvi- culturale, per una cultura del bosco che deve riguardare primariamente gli esperti del settore e poi tutti noi cittadini non esperti ma che dal bosco traiamo benefici.

  • La quarta condizione: riguarda la conoscenza che è necessaria per fare scelte coraggiose!

Occorre un impegno notevole per informarsi, per documentarsi; tutto ciò diventa più facile se siamo curiosi, perché è dalla curiosità che nasce la voglia di capire. Può essere la stessa Pubblica Amministrazione che ha a cuore il bene comune a incaricarsi di fare formazione/cultura affinché il buon cittadino sia in grado di fare scelte e richieste motivate.

I dati elaborati dall’ISPRA sul consumo di suolo nel nostro Paese sono impressionanti e il mondo della scienza fa appello perché si arresti la tendenza a peggiorare la situazione esistente. È ormai tempo di porre termine alle espansioni urbanistiche delle città, delle periferie, dei centri commerciali, delle aree industriali, delle aree artigianali. Queste coperture artificiali della terra impediscono la depurazione naturale delle acque, la ricarica delle falde idriche, e per contro nel corso delle piogge si verificano sovraccarichi dei sistemi fognari e la crisi delle capacità ricettive dei depuratori cittadini.

  • PER MEGLIO QUALIFICARE IL PROGETTO: I CONTENUTI STRUTTURALI E FUNZIONALI

La realizzazione delle fasce boscate periurbane possono generare effetti benefici così sinteticamente elencati:

  • sulla salubrità dell’aria;
    • sulla regolazione del ciclo dell’acqua;
    • sul microclima;
    • sulla salute psichica e sulla salute fisica;
    • sulla socialità in genere;
    • sul miglioramento estetico e funzionale della periferia;
    • sulla bellezza del paesaggio;
    • sulla difesa/promozione della biodiversità nella sua massima espressione (api comprese).

Le fasce boscate periurbane trovano un valido supporto e completamento anche dalla realizzazione dei “boschi ripariali” quelli lungo i corsi d’acqua. Per raggiungere questo obiettivo è importante e irrinunciabile la riappropriazione del demanio fluviale da parte della Pubblica Amministrazione Regionale in funzione della costituzione della copertura forestale negli ambiti circostanti ai corsi d’acqua tutto ciò in funzione:

  1. dell’aumento dei tempi di corrivazione[3] delle acque meteoriche;
    1. della formazione di fasce tampone che intercettano il materiale in sospensione che proviene dall’erosione superficiale dei terreni durante gli eventi meteorici di forte intensità;
    1. della stabilizzazione delle sponde fluviali da frane e dissesti;
    1. del ripristino delle “reti ecologiche[4]” naturali, e  se progettati in ambito di bacino idrografico possono collegare paesi e città tra la sorgente e la foce;
    1. dell’incremento della biodiversità vegetale e animale: quest’ultima componente svolge un forte potere comunicativo esaltando la bellezza dell’ambiente naturale;
    1. dell’aumento delle capacità di autodepurazione naturale dei corsi d’acqua, in aderenza alle finalità della Direttiva Quadro sulle Acque (Dir. 60/2000/CE) e del Testo Unico in Materia Ambientale (D. Lgs 152/06)
    1. del restauro del paesaggio, in aderenza all’art. 9 della Costituzione.

Si sottolinea che la ricostituzione di adeguate fasce boscate tampone lungo i corsi d’acqua costituisce un provvedimento che richiede modesto impegno di risorse economiche e i cui risultati sono assai rapidi, nell’ordine di pochi anni, dal momento che la vegetazione delle aree umide è a velocissimo accrescimento. 

È importante ribadire che le fasce boscate periurbane sono fortemente correlate con la salute dell’ambiente e la salubrità dell’aria e pertanto contribuiscono alla formazione di una buona socialità e, in particolare, nella periferia delle città che spesso è soggetta a degrado.

Gli interventi forestali fino ad ora proposti possono generare un interessante effetto positivo anche per l’economia, sia direttamente sia indirettamente risparmiando sulle spese sanitarie per merito di un ambiente più sano, e creando posti di lavoro. È l’unico caso in cui, incrementando il patrimonio vegetale, possiamo parlare di effettivo “sviluppo sostenibile” senza cadere in un ossimoro.

La realizzazione delle “fasce boscate periurbane” determinano posti di lavoro in diversi settori:

  1. per la realizzazione di vivai forestali per avere la materia prima per gli interventi di forestazione;
    1. per la raccolta dei semi provenienti da boschi da seme da utilizzare per i vivai forestali;
    1. per la realizzazione/formazione e la manutenzione dei vivai forestali;
    1. per la bonifica delle aree degradate e successivamente per intervenire con l’attività di forestazione;
    1. per gli interventi di manutenzione nei parchi urbani e sulle alberature stradali;
    1. per la realizzazione di corsi di formazione per vivaisti;
    1. per la realizzazione di corsi di formazione per manutentori delle aree verdi urbane in generale, ovviamente con una cultura nuova della manutenzione del verde nella città.
    1. per una diagnosi anche strumentale, scientificamente corretta, dello stato fitosanitario del patrimonio arboreo che eviti l’abbattimento ingiustificato di alberi sani che non costituiscono un pericolo. 
  2. I TEMPI PER INTERVENIRE E LE MODALITA’ DI INTERVENTO

Questo nuovo processo di miglioramento di qualità della vita delle città e di mitigazione del nuovo clima caratterizzato, tra l’altro, da “isole di calore” responsabili di innumerevoli decessi prematuri, necessita di interventi di diversa natura:

  1. a livello giuridico con la revisione di alcune leggi nazionali/regionali e regolamenti comunali;
    1. modificando il “concetto di sicurezza” che costringe i Sindaci a fare capitozzare gli alberi in ambito urbano in quanto responsabili di eventuali cadute di piante;
    1. definendo la responsabilità dei pubblici amministratori,
    1. definendo la responsabilità dei cittadini nei confronti di ambienti naturali, semi naturali e urbani in particolare per quanto riguarda i parchi o i singoli alberi.

Siamo consapevoli che, per ciò che abbiamo scritto in premessa, i progetti necessitano di tempi lunghi per la loro realizzazione, ma purtroppo in questo contesto storico occorre abbreviare i tempi di intervento; è inammissibile pensare a un “periodo di interventi sperimentali” come è raccontato/riportato nel Decreto-legge n. 111[5] del 14 ottobre 2019, e che solo dopo la sperimentazione si potrà dare seguito a eventuali interventi strutturali. Le scienze forestali nel nostro Paese sono mature e beneficiano di decenni di ricerche e di sperimentazioni che ci consentono di agire da subito nel restauro ambientale.

È necessario che si passi dalla fase di sperimentazione alla fase di progettazione esecutiva che deve prevedere il coinvolgimento di tutto il territorio nazionale; ma siccome stiamo parlando alle amministrazioni locali chiediamo che esse intervengano sul processo in atto con progetti che incidano strutturalmente sul proprio territorio. È ovvio che ogni amministrazione locale deve fare la propria parte, con un progetto che deve riguardare tutto il territorio amministrato.

È necessario pertanto definire:

  1. dove collocare le fasce boscate periurbane: è condizione necessaria e irrinunciabile localizzare in modo puntuale, su cartografia di dettaglio, le aree da dedicare agli interventi per la realizzazione di fasce boscate periurbane;
    1. quando iniziare l’intervento di forestazione: è condizione necessaria e irrinunciabile stabilire i tempi di intervento, perché l’utilizzo delle piante è condizionato dalla loro ciclo biologico. Infatti, i tempi per l’intervento sono ben precisi e prudenzialmente si indicano da novembre a marzo durante la fase del fermo vegetativo.
    1. quale materiale utilizzare: è condizione necessaria e irrinunciabile utilizzare materiale vegetale (erbaceo, arbustivo, arboreo) tipico del territorio di intervento, della vegetazione potenziale spontanea del luogo e prelevato quanto più vicino possibile al luogo dell’operazione e pertanto è necessario pensare a costituire per tempo vivai forestali.

Ciò richiede l’implementazione delle quattro fasi descritte nella parte iniziale, con il sostegno attivo della pubblica opinione che divenga subito parte attiva nel chiedere questi interventi strutturali. Purtroppo i processi culturali hanno di solito tempi molto lunghi, pertanto anche in assenza di stimoli dal basso è necessario che la pubblica prenda l’iniziativa svolgendo un ruolo di promozione culturale.

Le iniziative della pubblica amministrazione per sviluppare fasce boscate periurbane e il processo formativo/culturale dell’opinione pubblica devono partire fin da oggi e camminare in parallelo affinché i risultati siano concreti e soprattutto duraturi.


[1] L’ExtraTerrestre supplemento a “Il Manifesto”, 2 dicembre 2019, pp.72-73

[2] Ecosistema = L’ecosistema è l’unità ecologica fondamentale, formata da una comunità di organismi viventi in una determinata area (biocenosi) e dallo specifico ambiente fisico (biotopo), con il quale gli organismi sono legati da complesse interazioni e scambi di energia e di materia. Un ecosistema comprende diversi habitat e differenti nicchie ecologiche. L’habitat è il luogo fisico dove un animale o una pianta vivono normalmente, in genere caratterizzato da una forma vegetale o da un aspetto fisico dominante (per esempio, un corso d’acqua o una foresta).  La nicchia ecologica è il ruolo ecologico, o “funzione”, che ogni specie occupa all’interno di un habitat, cioè è uno spazio che include tutti gli aspetti dell’esistenza di quella specie. Per esempio, una nicchia ecologica è definita dalle esigenze alimentari, dalle abitudini di vita e dalle interazioni della specie considerata con altre specie, oltre che dalle condizioni climatiche e chimico-fisiche. La nicchia ecologica è unica per ogni specie.

Tratto da: http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/biologia/Organismi-e-ambiente/Fondamenti-di-ecologia/L-ecosistema.html  (Ultima ricerca il 12/12/2019)

[3] Tempo di corrivazione = è il tempo che impiega la pioggia, cadendo a terra, per raggiungere il corso d’acqua più vicino.

[4] Malcevschi S., Bisogni L.C., Gariboldi A., 1996 – Reti ecologiche ed interventi di miglioramento ambientale. Il Verde Editoriale

[5] DECRETO-LEGGE 14 ottobre 2019, n. 111. Misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria e proroga del termine di cui all’articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229.

Strategia Forestale Nazionale: cosa non va, e una proposta diversa

Strategia Forestale Nazionale: cosa non va, e una proposta diversa

È stata presentata la bozza di nuova Strategia Forestale Nazionale (SFN) per i prossimi 20 anni, su cui si è appena conclusa la consultazione pubblica. Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, insieme a USB – Unione Sindacati di Base e alle associazioni Grig -Gruppo Intervento Giuridico, ISDE Italia – Medici per l’ambiente, Italia Nostra Toscana, Italia Nostra Abruzzo, Italia Nostra Friuli Venezia Giulia,  Italia Nostra Marche, Italia Nostra ABC Alleanza Bene Comune– La Rete,  ALTURA – Associazione per La Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro habitat, CODACONS, Atto Primo: salute, ambiente e cultura, Comitato Tutela Alberi Bologna e Provincia, European Consumers, Forum Ambiente e Salute Lecce, Lipu Grosseto, Lupus in Fabula, Liberi Pensatori a Difesa della Natura, STAI-Stop Taglio Alberi Italia – Comitato Coordinamento Nazionale, CISDAM (Centro Italiano Studi e Documentazione per gli Abeti Mediterranei), Ecoistituto Abruzzo, Mila Donnambiente, Le Majellane e Centro Parchi Internazionale, esprimono una forte delusione per i contenuti e gli obiettivi del documento. Le associazioni firmatarie, bocciando l’impianto della Strategia nel suo complesso, hanno mandato al Ministero le seguenti osservazioni.

– Nella Strategia prevale un indirizzo economico di sfruttamento estrattivo delle risorse (in particolare per la fornitura di biomassa per il settore energetico), trattando le foreste come infrastrutture produttive. La SFN, al di là di qualche frase fatta sulla protezione dell’ambiente, fa propri gli assunti del TUFF – Testo Unico Forestale: vede nell’espandersi della superficie dei boschi italiani un problema e spinge per una maggiore “manutenzione” degli stessi in un’ottica di gestione attiva. Una gestione ad alto impatto ambientale già ora ampiamente praticata, le cui conseguenze sono la riduzione della biodiversità e un maggiore rischio idrogeologico. L’assimilazione della Gestione Forestale Sostenibile con la Gestione Attiva nella Strategia è impropria e viola la normativa internazionale, e non viene bilanciata da norme a salvaguardia dell’ambiente.

– L’approccio ecologico dichiarato è solo di facciata, non c’è la ricerca di un equilibrio fra produzione e tutela delle foreste.

– L’effettiva partecipazione è impedita in quanto la proposta di SFN non indica in modo chiaro e trasparente i propri presupposti e le sue reali priorità. In particolare mancano dati certi sulla reale consistenza del patrimonio forestale nazionale, sull’entità delle utilizzazioni e sul loro andamento nell’ultimo decennio, senza i quali una programmazione forestale perde di senso.

– Il Green Deal Europeo viene ignorato, in quanto la SFN è stata proposta senza attendere le nuove strategie europee, quella sulla Biodiversità, nonché la nuova strategia forestale europea prevista per il 2020.

– Il quadro normativo di riferimento ignora la Legge sulle Norme in materia di domini collettivi e non è stata considerata nelle valutazioni di coerenza e coordinamento la strategia nazionale per le aree interne (SNAI).

– La Strategia non tiene in conto del ruolo fondamentale (nel contesto della crisi climatica): della silvicoltura intesa come ecologia applicata di ispirazione naturalistica e sistemica; del restauro forestale; di aree di monitoraggio permanenti; delle aree ad accrescimento naturale e indefinito; del ruolo delle comunità locali e della necessità di distinguere tra aree produttive ed aree conservative, tra ecoservizi ed ecobenefici. Gli ecobenefici dovrebbero essere tutelati slegandoli da questioni economiche.

– Appaiono travisate le competenze in materia di AIB (Anti Incendio Boschivo) ed il ruolo della Legge quadro in materia di incendi boschivi e non risulta al riguardo alcun coordinamento con i ministeri competenti e la Protezione Civile.

– Manca una reale analisi di copertura finanziaria.

Il documento appare quindi prematuro e la consultazione pubblica dovrà essere riproposta. I problemi del settore forestale sono conseguenza di anni di politiche sbagliate che hanno delegato alle Regioni la gestione del patrimonio boschivo: le leggi variano grandemente da Regione a Regione, con un caos normativo che si traduce in una mancanza di visione a lungo termine. È necessario armonizzare le normative e le strutture regionali fra loro secondo una logica unitaria, per uscire dall’anarchia nella quale versa il settore forestale e si devono riorganizzare i servizi e gli uffici regionali sul territorio secondo livelli standard omogenei.

La gestione del patrimonio forestale pubblico e dei boschi privati “abbandonati”, degli alvei dei fiumi, delle aree in dissesto idrogeologico e dell’antincendio boschivo deve essere affidata ad agenzie multiservizi regionali pubbliche, dotate di strutture tecniche adeguate, che devono operare attraverso una programmazione annuale. Alle stesse si potrebbe anche affidare il servizio di irrigazione agricola svolto attualmente dai consorzi regionali, con un contratto di servizio unitario a livello regionale attraverso la cessione dell’acqua agli agricoltori a un prezzo politico, differenziato sulla base degli effettivi consumi e della redditività delle colture. Solo queste entità pubbliche fornirebbero le necessarie garanzie sul corretto impiego delle risorse e beni pubblici e sulla gestione di boschi e terreni abbandonati nell’interesse esclusivo della collettività, al pari dell’acqua e degli altri beni comuni, nelle quali ricollocare e riorganizzare il personale delle soppresse comunità montane, dei consorzi di bonifica, e di quello impiegato per questi servizi presso le strutture regionali e provinciali, nelle quali assumere e far lavorare stabilmente centinaia di persone in ogni regione, soprattutto delle aree interne, dove maggiore è l’abbandono del territorio e la disoccupazione.

L’Italia non si può permettere di perdere altri 20 anni per porre rimedio ad una situazione che continua a peggiorare sempre di più: l’incremento continuo di incendi, frane e alluvioni che interessano il territorio sono una prova evidente dei cambiamenti climatici in atto e richiedono l’adozione di scelte coraggiose e non più procrastinabili. Scelte che considerino i benefici ecosistemici e mirino alla conservazione del patrimonio boschivo e non a incentivarne lo sfruttamento. La pubblica amministrazione deve ritornare alla sua funzione istituzionale originaria, che non è certo quella produttiva finalizzata a massimizzare i ricavi immediati, svendendo il valore del patrimonio forestale pubblico fin qui accumulato.

Distruzione ambientale del Lago Santo di Cembra

Distruzione ambientale del Lago Santo di Cembra

di Franco Pedrotti

Il Lago Santo di Cembra (Trento) si trova sui rilievi montuosi del versante orografico di destra della Val di Cembra, in una conca di esarazione glaciale a m 1194 di quota, formata di porfidi quarziferi.  Le dimensioni sono di 267 x 167 m, la superficie di 32.000 mq, la profondità di m 15.

        Le rive del lago costituiscono un ambiente ecotonale, lungo il quale le specie della flora (α biodiversità,) e le differenti associazioni vegetali (β biodiversità) si dispongono secondo un gradiente ecologico che va dalla periferia verso il centro del lago (γ biodiversità).

        Il modello vegetazionale del Lago Santo di Cembra è costituito da una fascia esterna di praterie umide (Junco-Molinietum); segue la fascia lacustre vera e propria con il magnocariceto di carice rigonfia (Caricetum rostratae) e il canneto (Phragmitetum australis) . Nella fascia esterna del canneto è presente il cipereto di cipero giallastro (Cyperetum flavescentis). Il cipereto di cipero giallastro è un habitat prioritario della UE, ove è descritto come segue: Acque stagnanti, da oligotrofe a mesotrofe, con vegetazione dei Littorelletea uniflorae e/o degli Isoëto-Nanojuncetea sottotipo 22.12 x 22.32; 13.2.1 Nanocyperion flavescentis. Questo tipo di habitat prioritario, molto raro in tutta Europa e – nella fattispecie – anche in Trentino, conferisce un grande valore ambientale al biotopo rappresentato dal Lago Santo di Cembra.

        Il Comune di Cembra-Lisignago ha fatto eseguire un progetto di valorizzazione turistico ambientale del Lago Santo che non ha nessun fondamento di carattere ecologico ed è totalmente privo di riferimenti relativi alla biodiversità (α biodiversità, β biodiversità e γ biodiversità).

        Di fronte a un progetto così dannoso per il lago, sono state messe in atto varie iniziative per la sua salvezza sia da parte della popolazione di Cembra che delle associazioni ambientaliste locali e nazionali. Tutte le richieste al Comune di Cembra-Lisignago e alla Provincia Autonoma di Trento non sono servite a nulla. Quasi per ironia della sorte, i lavori sono iniziati proprio nei giorni in cui veniva celebrata in tutto il mondo la giornata della biodiversità, 22 maggio 2020.

        I lavori eseguiti fino ad oggi hanno portato alla completa distruzione di tutta la fascia di praterie umide del lago, con spargimento di ghiaia e terriccio, che hanno fatto scomparire tutta la vegetazione, compresa quella dell’Habitat Prioritario prima citato, come risulta dalle fotografie allegate.

Il Lago Santo di Cembra prima degli interventi (foto V. Valentini, maggio 2020).

Le rive del lago dopo gli interventi effettuati nella fascia delle praterie umide esterne al lago; la fascia di colore rosso indica la zona ove era presente l’Habitat Prioritario, ora completamente distrutto (foto V. Valentini, maggio 2020).

Il Lago Santo di Cembra ridotto a “piscina” (foto V. Valentini, maggio 2020).

Osservazioni alla bozza preliminare della Strategia Forestale Nazionale

Osservazioni alla bozza preliminare della Strategia Forestale Nazionale

Hanno aderito alle presenti osservazioni e considerazioni generali del GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane le associazioni: Unione Sindacale di Base – USB Nazionale;  Grig -Gruppo Intervento Giuridico; ISDE Italia – Medici per l’ambiente; Italia Nostra Toscana; Italia Nostra Abruzzo; Italia Nostra Friuli Venezia Giulia;  Italia Nostra Marche; Italia Nostra ABC Alleanza Bene Comune– La Rete;  ALTURA – Associazione per La Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro habitat; Codacons; Atto Primo: salute, ambiente e cultura; Comitato Tutela Alberi Bologna e Provincia; European Consumers; Forum Ambiente e Salute Lecce; Lipu Grosseto; Lupus in Fabula; Liberi Pensatori a Difesa della Natura; STAI-Stop Taglio Alberi Italia – Comitato Coordinamento Nazionale,; CISDAM (Centro Italiano Studi e Documentazione per gli Abeti Mediterranei); Ecoistituto Abruzzo; Mila Donnambiente; Le Majellane; Centro Parchi Internazionale.

  1. Prevale un indirizzo economico di sfruttamento estrattivo delle risorse primarie (particolarmente sensibile alla fornitura di biomassa per il settore energetico e di scarti per l’industria di derivati del legno), intendendo i sistemi forestali come infrastrutture produttive da mettere in rete per incrementare la produttività e la contabilizzazione di ricchezze pubbliche e collettive tramite la terziarizzazione del settore.

  2.  L’approccio ecologico dichiarato in realtà è riduzionista ed utilitarista, omette un’analisi sistemica naturalistica e rinuncia ad una visione sintropica secondo un inquadramento spazio temporale dei fenomeni, la cui realtà non è stata oggettivizzata in un contesto adeguatamente rappresentato, ma solo immaginata.

  3.  L’assimilazione della Gestione Forestale Sostenibile con la Gestione Attiva è impropria, viola la normativa internazionale. Essa è inoltre imprudente non essendo stata contemperata con l’introduzione di criteri di precauzione e di adeguate norme di salvaguardia che, specie nella prima fase, evitino applicazioni abnormi in danno dell’ambiente e degli ecosistemi con esposizione a rischio delle funzioni più nobili svolte dai sistemi forestali.

  4.  La effettiva partecipazione è impedita in quanto la proposta di SFN non indica in modo chiaro, trasparente e accessibile i presupposti e le reali priorità della medesima. In particolare mancano:
    a) dati certi di riferimento sulla reale consistenza del patrimonio forestale nazionale e sull’entità delle utilizzazioni e  sul loro andamento  nell’ultimo decennio;
    b) criteri distintivi tra sistemi artificiali e naturali ed i relativi fattori limitanti;
    c) metodologie e modelli di analisi  su cui valutare le ipotesi evolutive dei sistemi forestali;
    d) criteri e modalità qualitative e quantitative su cui bilanciare la composizione tra interessi contrapposti: di natura produttiva (estrattiva ovvero di sfruttamento delle risorse primarie) e di conservazione e tutela (fondamentali e garantiti dalla Costituzione e da normativa europea e internazionale);
    e) un ordine delle priorità di intervento tra le azioni e le modalità di ripartizione delle risorse in caso di carenza finanziaria;
    f) indicatori e  modalità di monitoraggio e valutazione per la verificare dell’andamento delle azioni e del raggiungimento degli obiettivi prefissati;
    g) apporti attribuibili a ciascun dicastero di un coordinamento preliminare in vista del concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministro dello Sviluppo Economico e dell’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano

  5.  Il Green Deal Europeo (GDE) è nella sostanza ignorato, la SFN è stata proposta senza  attendere le nuove strategie europee ivi preannunciate ed in particolare:
    a) la nuova strategia europea sulla Biodiversità, pubblicata in data 20 maggio 2020 che ha individuato gli obiettivi di ridurre l’impiego delle biomasse e di ampliare le aree protette;
    b) la nuova strategia forestale europea, prevista per il 2020; tutta la proposta di SFN è sviluppata sulla base della vecchia strategia forestale europea con evidente inefficienza e duplicazione di costi.

  6. Il quadro normativo di riferimento e le azioni ignorano la Legge n. 168 del 20 novembre 2017 “ Norme in materia di domini collettivi”.

  7.  La strategia nazionale per le aree interne (SNAI) non è considerata nelle valutazioni di coerenza e cordinamento.

  8.  Le Azioni tralasciano di evidenziare e valorizzare il ruolo fondamentale nel contesto attuale di crisi climatica:
    a) della silvicoltura intesa come ecologia applicata di ispirazione naturalistica e sistemica;
    b) del restauro forestale
    c) di aree di monitoraggio permanenti e costanti (rappresentative della diversità degli ecosistemi forestali e dei rispettivi stadi evolutivi per natura, origine e cause di disturbo, compresi quelli di neoformazione nelle aree incolte e abbandonate);
    d) di aree ad accrescimento naturale e indefinito;
    e) della necessità di distinguere tra aree produttive ed aree conservative, tra ecoservizi ed ecobenefici (non passibili di effettiva valutazione economica equivalente in quanto diretta emanazione biologica condizionante la vita sul pianeta Terra: assorbimento CO2, depurazione aria e acqua, mitigazione climatica, prevenzione dissesto idrogeologico, biodiversità e ciclo nutrienti). Gli ecobenefici dovrebbero pertanto essere:
    – destinatari della massima possibile protezione e tutela, di aiuti e incentivazione ai soggetti che ne curano la conservazione e rinnovazione;
    – sottratti alla disponibilità economica e finanziaria;
    –  inquadrati in una programmazione secondo una pianificazione per bacini idrografici (zonizzata e con riserva della metà dello spazio) su cui sviluppare gli ulteriori livelli; 
    f) del ruolo nel presidio del territorio della dimensione mesolocale, delle comunità intermedie naturali capaci di autorganizzazione dei domini collettivi e degli usi civici, specie nell’ambito agrosilvopastorale delle aree interne.
    g) Quanto precede dovrebbe essere inserito tra le priorità più urgenti da realizzare mediante azioni e sottoazioni specifiche e strumentali con accesso preferenziale alle fonti finanziarie.

  9. Appaiono travisate le competenze in materia di AIB ed il ruolo della Legge n. 353 del 30 novembre 2000,  Legge quadro in materia di incendi boschivi; non risulta alcun coordinamento con il Ministero degli Interni, il Ministero della Difesa e la Protezione Civile nella predisposizione della relativa azione specifica.

  10. Manca una reale analisi di copertura finanziaria (forse per la omessa sottoposizione della proposta ai competenti uffici di programmazione e pianificazione), le azioni sono pertanto un mero elenco irrealistico che mal cela istanze assistenzialistiche del settore industriale e la relativa  questua di Aiuti di Stato con sottovalutazione dei bisogni derivanti dalle priorità di natura conservazionistica.

  11. La proposta di SFN appare nella migliore delle ipotesi prematura,  la partecipazione mediante osservazioni dovrà essere rinnovata, per renderla effettiva e possibile, all’esito del concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministro dello Sviluppo Economico e dell’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, allorchè, si auspica, saranno state risolte le problematiche osservate.

CONSIDERAZIONI SUL DOCUMENTO “STRATEGIA FORESTALE NAZIONALE”

Documento superficiale, generico, inconcludente, a tratti contraddittorio, che contiene una elencazione, nella forma di buoni propositi, di tutti gli aspetti e delle tematiche di interesse del settore, per le quali vengono indicate le possibili azioni di miglioramento, avendo come riferimento a sostegno delle argomentazioni sviluppate, gli assunti del nuovo TUF. Non vengono individuati gli elementi concreti, lo stato di fatto in cui versa il settore forestale nazionale oggetto dell’analisi, quali sono i fattori che ne limitano lo sviluppo, le criticità e le minacce che lo insidiano, con i relativi livelli ponderali e i “possibili obiettivi” da raggiungere.

In allegato si riporta una scheda contenente un primo elenco delle osservazioni e delle contraddizioni più evidenti riscontrate.

Nel testo del documento presentato, vengono richiamati come elementi di riferimento ai fini della definizione della nuova S.F.N. leggi nazionali, regolamenti e accordi internazionali. Si riporta, come fattore di criticità, una sorta di protagonismo attivo che sarebbe manifestato dalle foreste nell’espandersi sul territorio abbandonato. Ciò è in linea con la narrazione diffusa in ogni occasione sui media dai principali portatori d’interesse del settore sull’argomento, secondo cui se nel nostro Paese manca la manutenzione del territorio e aumenta il dissesto, se i terreni abbandonati vengono colonizzati dal bosco e gli incendi boschivi imperversano, la causa viene derubricata e associata al processo ineluttabile ormai secolare di abbandono delle aree interne e all’invadenza del bosco non gestito.

D’altronde, la bozza di documento per l’elaborazione della nuova Strategia Forestale Nazionale della SFN, prodotta con il metodo dell’analisi SWAT, con queste premesse e in assenza di un esame approfondito e completo dei fattori limitanti interni al sistema, non poteva avere esito diverso.

Evidentemente, la soluzione dei problemi del settore forestale del nostro paese, non può essere data dalla semplice eliminazione dei boschi di neoformazione o dei rimboschimenti e rimessa a coltura del terreno con risorse pubbliche e con il ricavato della vendita del legname prodotto. Né tantomeno è una soluzione la semplice prospettazione acritica di tutte le iniziative e miglioramenti che teoricamente si potrebbero realizzare.  Occorre, in merito, l’analisi e la rimozione delle cause socio economiche ancora in atto che non solo non hanno contrastato il processo di abbandono dei territori marginali e montani, ma anzi l’hanno aggravato ulteriormente, e questo è un tema molto più serio e difficile da affrontare. 

In realtà, il vero fattore di criticità del settore forestale in Italia, è costituito dalle politiche e dalla gestione adottate dal sistema Paese negli ultimi 50 anni, appannaggio praticamente esclusivo delle Regioni dagli inizi degli anni settanta del secolo scorso, con le competenze statali dirette residuali, di controllo e coordinamento nel campo produttivo, pressoché nulle, in capo ad un dipartimento del MIPAAF. Nell’ultimo governo tale materia era addirittura stata collocata presso la Direzione Turismo del Ministero, a riprova della sua scarsa importanza, mentre, per la restante parte, competenze sono ripartite fra Ministero dell’Ambiente (natura, ambiente, dissesto idrogeologico) e MIBACT (paesaggio).

Di certo, questa grave lacuna nell’analisi, non può essere imputata ad un’improvvisa amnesia che ha pervaso le menti degli estensori del documento, ma è una patologia persistente, dal momento che si ritrova anche nel nuovo Testo Unico Forestale.  Tale lacuna peraltro è di origine non “recente”, se si considera che anche la precedente SFN che risale all’anno 2000, non conteneva traccia alcuna delle predette criticità, a riprova del fatto che i problemi del settore sono di lunga durata, si sono incancreniti nel tempo e hanno origine nel fatto che il “sistema forestale nazionale” è pubblico per intero. Se queste criticità effettive non vengono in alcuna maniera rilevate è perché i tavoli che hanno partorito sia la bozza del nuovo SFN che quella del Testo Unico Forestale, sono organizzati e composti sempre dallo Stato e dalle Regioni, con i principali partner o stakeholder chiamati alla concertazione, legati in maniera più o meno diretta agli attori che governano il settore, attraverso consulenze, commesse, affidamento di studi e indagini, nomine, partecipazione a commissioni, ecc.. o, come nel caso delle organizzazioni di categoria, per legittimi interessi lobbystici (trattamenti di favore per il consumo delle biomasse, nel settore di stufe, caldaie e impianti di medie e grandi dimensioni, riduzione di vincoli per il taglio dei boschi, gestione diretta per conto della proprietà pubblica dei demani regionali o per conto delle Regioni di attività istituzionali, ecc.).

Ma entriamo nel merito della questione: ogni regione ha una sua legge forestale, che stabilisce turni e periodi di taglio dei boschi, modalità e regole di gestione, dispone di un proprio servizio forestale interno che sovrintende alle autorizzazioni, elabora in autonomia un proprio piano forestale regionale e misure di finanziamento e miglioramento del settore forestale attraverso il PSR;  organizza e gestisce altresì in esclusiva la lotta attiva agli incendi boschivi, le attività vivaistiche e di produzione certificata di seme e delle piantine. Le stesse Regioni normano e gestiscono il settore della protezione della natura, la rete naturalistica e di protezione ambientale europea (VIA, VINCA e VAS) nel territorio e la gestione della fauna selvatica, tutti aspetti che hanno forti correlazioni con le foreste.

Se ci soffermiamo al solo settore forestale, le regioni presentano caratteri e situazioni a dir poco disomogenee, a tratti schizofreniche al loro interno: se tralasciamo gli aspetti squisitamente selvicolturali (difformità fra turni per le stesse specie e tipi di bosco, rilascio di matricine, ecc.) di per sé per certi versi paradossali, in alcune Regioni si taglia solo se c’è un piano di gestione forestale approvato, in altre i piani di  gestione non ci sono proprio e si taglia senza remora alcuna (in Abruzzo ce ne sono solo 4 approvati su 325 comuni).

In alcune Regioni il servizio autorizzativo è gestito direttamente a livello provinciale, in altre il ruolo è affidato alle CM o alle UCM, in altre ancora il servizio è stato soppresso e affidato ad entità autonome fra loro, che si occupano contestualmente della monta bovina o delle domande di contributo per i seminativi. In alcune regioni il servizio forestale è costituito in gran parte da diverse decine di laureati in scienze forestali, in altre nell’intero organigramma regionale c’è un solo laureato in scienze forestali e le istruttorie per l’autorizzazione dei progetti di taglio vengono eseguite da geometri, periti agrari o agronomi che non hanno nessuna competenza in materia, con dirigenti laureati in economia e commercio. In alcune Regioni, fino a 10 ha per il ceduo e 5 ha per la fustaia, si possono fare tagli previa dichiarazione, senza un progetto, una direzione dei lavori e senza alcuna segnatura o “martellata” delle piante che cadono al taglio, mentre in altre a partire da 1 ha, c’è bisogno obbligatoriamente di un progetto firmato da un tecnico abilitato, che deve curare la direzione lavori e deve segnare preventivamente le piante o allegare il piè di lista di martellata al progetto, anche se poi a istruire il progetto è un geometra o un agronomo senza competenza alcuna del settore. I sopralluoghi in bosco per l’istruttoria dei progetti di taglio, sono quasi inesistenti, a causa della cronica penuria di risorse per il carburante o per mancanza o obsolescenza dei mezzi. I controlli durante e dopo la realizzazione degli interventi sono praticamente inesistenti. Non è nemmeno il caso di parlare della verifica delle produzioni effettivamente ricavate o dell’esito dei lavori, con i danni ai soprassuoli o alle piste causati dalle imprese di taglio, verifiche praticamente inesistenti.    Gli unici controlli sono quelli esercitati dai comandi dei Carabinieri forestali attraverso le attività di sorveglianza svolte sul territorio, i quali però quasi mai dispongono di copia dei progetti o delle comunicazioni di taglio presentati alle regioni e che quindi, ad eccezione di situazioni eclatanti, hanno scarsa incidenza.

In alcune regioni sono state costituite agenzie regionali che talvolta dispongono anche di diverse  migliaia di dipendenti, alle quali è affidata la gestione del patrimonio pubblico forestale, svolgono le attività di manutenzione del territorio direttamente, insieme alle attività di antincendio boschivo, per le quali magari hanno anche una dotazione di mezzi aerei antincendio, gestiscono la produzione certificata di seme e l’attività vivaistica, il tutto magari con un indice di boscosità del territorio ridotto, mentre altre regioni, con un indice di boscosità elevato, affidano in gestione il patrimonio forestale regionale alle Unioni dei Comuni o ai singoli Comuni che li affidano a consorzi o cooperative private del territorio. Altre regioni ancora affidano invece la gestione del demanio forestale ai Carabinieri, non hanno personale che svolge attività di manutenzione forestale, non producono piantine per i rimboschimenti, hanno i vivai regionali chiusi, a dispetto della stessa legge regionale che obbliga per i nuovi impianti di rimboschimento ad utilizzare solo materiale di provenienza regionale certificato dalla stessa regione, gestiscono le attività antincendio esclusivamente attraverso volontari e non hanno uno straccio di mezzo aereo antincendio. Sempre riguardo agli aspetti di antincendio boschivo, ci sono alcune regioni che per i sette anni dell’ultimo PSR hanno investito per la sola misura relativa alla prevenzione degli incendi boschivi la miseria di 3 milioni di euro per l’intero territorio, senza spenderne ad oggi nemmeno uno, mentre altre per la stessa misura ne hanno investiti quasi venti volte di più e li hanno anche in gran parte spesi.

La stessa pianificazione forestale regionale in alcune regioni ad oggi non è mai stata realizzata, preferendo, forse a motivo della maggiore discrezionalità che questa condizione consente, autorizzare volta per volta gli interventi a carico dei boschi. La pianificazione in generale nelle regioni suscita allergia: si pensi alla pianificazione e programmazione annuale delle attività di manutenzione e prevenzione delle alluvioni e del dissesto idrogeologico in capo alle regioni, che il governo ha dovuto commissariare a causa della cronica incapacità delle stesse ad assolvere per tempo ai loro obblighi. Tanto per cambiare, il Commissario individuato dal governo è lo stesso presidente della regione chiamato a risolvere le inadempienze prodotte dalla regione da lui stesso amministrata.

Come si è già detto, di questa situazione e di questi problemi, nella bozza della nuova Strategia Forestale Nazionale, come anche nel Testo Unico Forestale non c’è traccia; anzi, nella norma introdotta di recente l’intero sistema di programmazione e pianificazione forestale resta uguale a quello preesistente, dove è previsto che le Regioni “..adottano Programmi forestali regionali. .. possono predisporrepiani forestali di indirizzo territoriale, finalizzati all’individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale”. Praticamente, a fronte di obblighi e regole stringenti per i proprietari di boschi rispetto alla gestione della proprietà, le Regioni “possono predisporre..”, non hanno obblighi, anche se detengono il potere di “sostituzione diretta o di affidamento della gestione forestaledei privati, e di “conferimento delle superfici forestali ad altri soggetti qualificati.

Fra le storture e le criticità ulteriori, generate dalle “politiche di settore” fin qui adottate, sono da aggiungere: la situazione in cui versa il sistema delle imprese di utilizzazione forestale, la cronica mancanza di informazioni e di dati affidabili sulle reali caratteristiche e performance del settore e della filiera, la persistente e generalizzata crisi occupazionale delle aree interne e, da ultimo, la condizione del laureato in scienze forestali.

Nella gran parte delle regioni, forse con la sola esclusione di quelle dell’arco alpino, le imprese forestali sono caratterizzate da una sostanziale ridotta dimensione aziendale, operano in un sistema economico strutturalmente marginale, caratterizzato da scarsa formazione professionale, cronica carenza di manodopera qualificata nazionale, in larga parte rimpiazzata da operai extracomunitari, e si trovano a competere in un mercato che si regge in larga parte sugli interventi finanziati con risorse pubbliche, appannaggio preferenziale del sistema delle cooperative e dei consorzi privati che fungono da intermediari a titolo oneroso, nell’affidamento dei lavori alle imprese associate.

Al contempo, le attività selvicolturali e di cura del bosco non sono riconosciute fra le categorie di opere pubbliche previste dal sistema di qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici predisposto dalle camere di Commercio, che in questo caso prevede come sola categorie di opere, quella relativa alle “opere di ingegneria naturalistica” (OG13). A causa di ciò si assiste al paradosso per cui, solo alcune delle ditte che partecipano alle gare per i lavori forestali svolgono propriamente tale attività, rientrano nella “classificazione ATECO 2007” e nel contempo sono iscritte alla camera di commercio nella sezione “Silvicoltura e utilizzazioni aree forestali”, la gran parte di ditte che si occupano di altro, penalizzando fortemente le prime.

Questa situazione, di per sé critica, e della quale non c’è traccia nella bozza della nuova SFN, per le scelte previste dal nuovo TUF, che ha inserito come “titolo preferenziale ai fini della concessione in gestione … la partecipazione di imprese… aventi centro aziendale entro un raggio di 70 chilometri dalla superficie forestale oggetto di concessione” e il fatto che “le cooperative forestali e i loro consorzi sono equiparati agli imprenditori agricoli” , è destinata a peggiorare ulteriormente.

La stragrande maggioranza delle regioni non dispongono né tanto meno rilevano i dati sulle ditte che operano sul territorio, sui cantieri che vengono aperti, sui prezzi di mercato, sugli operai impiegati, sulla dimensione delle aziende, non esistono statistiche regionali su infortuni e morti, sul materiale legnoso realmente utilizzato e sul tipo di assortimenti lavorati, sulla domanda di materiale legnoso in quantità e qualità. È tutto un gran buco nero.

Un caso a parte è costituito dai laureati in scienze forestali, che a causa del sempre più basso livello di investimenti nel settore forestale pubblico e delle politiche regionali di deregulation della procedure autorizzative e della progettazione, vedono sempre più ridursi gli spazi esclusivi e le prerogative professionali nella progettazione e direzione lavori degli interventi di manutenzione e gestione di boschi, derubricati a semplici pratiche amministrative routinarie, a tutto vantaggio delle ditte boschive, degli agrotecnici e degli stessi consorzi di cooperative. Il tutto nella più assoluta indifferenza e miopia dei vertici degli ordini professionali di categoria.

A nostro avviso è indispensabile e non più procrastinabile armonizzare le normative e le strutture regionali fra loro, secondo una logica unitaria per uscire dalla più assoluta anarchia nella quale il settore versa.  Riteniamo altresì che, contestualmente, si debbano riorganizzare i servizi e gli uffici pubblici regionali del settore forestale sul territorio, che devono essere affidati a dirigenti e tecnici qualificati, sulla base di livelli omogenei e garantiti di gestione. La gestione del patrimonio forestale pubblico e dei boschi privati abbandonati di ogni tipo, beni collettivi di primaria rilevanza per la collettività, degli alvei dei fiumi, delle aree in frana e di tutti gli ambienti e aree sensibili ai fini della mitigazione del dissesto idrogeologico, delle piene dei corsi d’acqua e del contrasto agli incendi boschivi deve essere affidata ad agenzie multiservizi regionali pubbliche, dotate di strutture tecniche adeguate, che devono operare attraverso una programmazione annuale stabilita dalle Regioni.  A tali Agenzie devono essere affidati in gestione i demani silvopastorali e i vivai forestali regionali, nonchè compiti di provvedere alla manutenzione forestale e agli interventi nelle aree protette regionali, di porre in essere le attività operative antincendio di competenza delle Regioni e, ove ne ricorrano le condizioni, di gestire il patrimonio forestale costituito dai boschi privati abbandonati. Queste agenzie potrebbero provvedere alla manutenzione del verde lungo la viabilità provinciale, allo spazzamento della neve l’inverno, manutenere o realizzare le sistemazioni idraulico forestali, gestire il servizio di irrigazione agricola svolto attualmente dalla rete dei consorzi di irrigazione regionali con un contratto di servizio unitario a livello regionale che preveda la cessione dell’acqua agli agricoltori, a un prezzo politico, differenziato sulla base degli effettivi consumi e della redditività delle colture.

Solo queste entità pubbliche fornirebbero le necessarie garanzie sul corretto impiego delle risorse e beni pubblici e sulla gestione di boschi e terreni abbandonati nell’interesse esclusivo della collettività, nelle quali ricollocare e riorganizzare il personale delle soppresse comunità montane e dei consorzi di bonifica, al pari di quello attualmente impiegato per i servizi citati presso le strutture regionali e provinciali, ma nelle quali anche assumere e far lavorare stabilmente diverse centinaia di persone in ogni regione.

In questo contesto è indispensabile che la pubblica amministrazione, regioni e governo ritornino alla loro funzione istituzionale originaria, che non è quella produttiva finalizzata a massimizzare i ricavi immediati, magari svendendo il valore del patrimonio forestale fin qui accumulato e investito dallo Stato per migliorare la qualità del patrimonio forestale pubblico e nazionale, anche attraverso i finanziamenti erogati nei decenni.

La strategia forestale nazionale deve essere incentrata sulla massimizzazione delle diverse funzioni pubbliche assicurate dai boschi.

Terminillo Stazione Montana: un progetto fallimentare non solo per l’ambiente, ma anche per l’economia

Terminillo Stazione Montana: un progetto fallimentare non solo per l’ambiente, ma anche per l’economia

WWF Lazio, FederTrek – Escursionismo  Ambiente, GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, Club Alpino Italiano GR Lazio, European Consumers, Italia Nostra – Sabina e Reatino, Mountain Wilderness Lazio, Salviamo il Paesaggio Rieti e Provincia, Postribù, Inachis sez. Gabriele Casciani Rieti, Altura Lazio, Salviamo l’Orso

1 giugno 2020 – Come è noto, il progetto Terminillo Stazione Montana (TSM) è già stato bocciato due volte dalla Regione Lazio a causa del devastante impatto sul territorio, ma è stato riproposto dalla Provincia di Rieti nel Dicembre 2019 con modifiche cosmetiche che non eliminano le criticità ambientali, paesaggistiche e quelle relative alla sostenibilità economica dell’investimento pubblico.

Potrebbe sembrare singolare che associazioni appartenenti al mondo ambientalista motivino la loro contrarietà contestando la redditività economica di questo progetto, ma non è così; i progetti maggiormente impattanti sull’ambiente sono infatti quelli fallimentari, perché erodono risorse ambientali e paesaggistiche senza offrire benefici economici di sorta. E purtroppo il TSM appartiene a questa categoria. Non si tratta di una affermazione gratuita, ideologica o retorica, veniamo ai fatti.

Per chi abbia la pazienza di leggere gli studi economico-finanziari allegati al progetto TSM, l’ultima pagina rivelerà una sorpresa.  Contiene infatti un disclaimer (disconoscimento) in cui l’autrice degli studi afferma testualmente quanto segue: “Il documento è stato redatto esclusivamente sulla base delle informazioni raccolte nel corso delle riunioni con la provincia di Rieti, della mail ricevute dalla Provincia di Rieti e dall’arch. Fabio Orlandi” e che di conseguenza “non si assume la responsabilità, né si fornisce alcuna garanzia per quanto riguarda la veridicità, l’accuratezza e la completezza delle informazioni contenute nel presente documento”, precisando infine come” i destinatari di questo documento si assumono la piena ed esclusiva responsabilità di qualunque azione che lo stesso intraprenda facendo affidamento sul contenuto del presente documento”.

Significa essere faziosi il far notare che uno studio economico-finanziario disconosciuto dalla stessa autrice non induca molta fiducia sulla sua redditività? Ma forse molti non lo hanno letto questo disclaimer, perché da fine Aprile ad oggi si sono moltiplicate sulla stampa locale le dichiarazioni di piena adesione del TSM. CGIL, CISL e UIL affermano in un articolo (30 Aprile) che il TSM attiverà 4.558 nuovi posti di lavoro; ma il TSM dichiara di assicurarne 17 a tempo indeterminato e 87 stagionali, e quindi come si arriva a questa cifra così allettante? Semplice, applicando un fattore moltiplicativo, quindi ipotizzando che ogni singolo addetto (anche stagionale) agli impianti metta in moto un indotto di 53 altri addetti nei settori ricettivi, commerciali, così come indicato da una società nel recente rapporto Skypass Panorama Turismo, una fonte citata nello studio di fattibilità economico -finanziaria del TSM sulla cui attendibilità si è già detto.

Ma c’è di più. Nel medesimo articolo viene avvalorata l’ipotesi che ogni euro speso da uno sciatore per gli impianti di risalita ne induca altri 10 spesi in attività quali shopping, ristoranti, alberghi, divertimenti vari. Considerato che nell’ultima stagione uno skipass giornaliero costava al Terminillo 28 euro, i sindacati si attendono che una famiglia di quattro persone, passando un weekend al Terminillo, spenderà 224 euro per gli impianti e 2.240 euro di indotto, ovvero circa 2.500 euro circa. Saremmo lieti che gli estensori di queste affermazioni specificassero quanto consistente sia oggi (ma anche domani) in Italia la platea di famiglie in grado di sostenere questi livelli di spesa al Terminillo. Viene da chiedersi in quale Italia crede di vivere chi amplifica queste ipotesi che il buon senso rigetta.

Sempre il 30 Aprile, una esponente della Lega reatina valuta il TSM come “una grande opportunità per il Lazio” (Lega reatina, 30 Aprile), poi UGL manifesta la “piena adesione al progetto”, le pro-loco di Leonessa, Cantalice e Terminillo indicano il TSM come “ultima speranza per i nostri territori” (2 Maggio) e la Coldiretti (13 Maggio) definisce il TSM come “una occasione per promuovere la sostenibilità del made in Rieti”.

I fatti sono molto diversi. Sotto il profilo occupazionale la realizzazione del progetto appare deludente rispetto alle attese e risibile se confrontata con altri investimenti di pubblica utilità. A regime, il TSM prevede l’assunzione di 17 dipendenti (e 87 stagionali). Ne deriva che esso assorbe 2,9 milioni di € per ogni nuovo posto di lavoro a tempo indeterminato creato. Tale ingente ammontare di risorse pubbliche, ben superiore ai valori medi nazionali riferiti a progetti co-finanziati (circa 56 mila €/per nuovo occupato), dovrebbe indignare chi ha a cuore la buona gestione delle risorse pubbliche alla cui raccolta hanno in buona misura contribuito i lavoratori. E qualcuno dovrebbe chiedersi se non esistano modi migliori di impiegare 20 milioni di euro, che andranno per l’acquisto di impianti (non certo prodotti da ditte locali) che rimarranno inutilizzati.

Forse è ora – ma meglio tardi che mai – di vedere in faccia la realtà.

Il TSM ha come posta di avvio 20 milioni di euro d’investimento pubblico iniziale (in parte già spesi nelle ripetute progettazioni) ma non è stata definita dai proponenti (prima tra tutti la Provincia di Rieti) una strategia d’investimento per colmare i circa 30 milioni che mancano al programma di interventi per avviarsi. E non è stata spesa una parola per spiegare come gli sciatori annuali del Terminillo – che negli ultimi anni sono oscillati tra le dieci e le ventimila presenze – dovrebbero divenire circa 280 mila attraverso un radicale drenaggio dalle altre stazioni sciistiche dell’Appennino, in crisi anch’esse. Si consiglia in proposito la lettura del documentato rapporto Nevediversa 2020 di Legambiente, certamente più autorevole di quello citato nel TSM.  

La stazione meteo C. Jucci, posta a 1700 m sul M. Terminillo, ha registrato dal 1958 ad oggi, in media, la perdita di un giorno l’anno di neve sciabile. Questo dato risulta ancora più preoccupante dopo la stagione invernale appena conclusa (2019/2020) nella quale non si è registrato un solo giorno in cui le precipitazioni nevose abbiano garantito sufficiente neve sciabile al suolo.

Si dirà che oggi esiste l’innevamento artificiale; certo, ma non è gratis ed in più ha necessità di acqua e di adeguate condizioni climatiche.

In merito agli impianti di innevamento artificiale programmato, che vengono dai proponenti ritenuti risolutivi per sopperire alla mancanza di precipitazioni nevose (che per altro presuppongono basse temperature operative), si omette di rappresentare all’opinione pubblica gli alti costi che tale pratica comporta. Tale dimenticanza non è casuale. Il costo unitario di ogni singolo intervento di innevamento artificiale è infatti stimabile in oltre 1.1 milione di €, in linea con i costi sostenuti a metro cubo delle località alpine per 92.8 ha. di piste, quali dovrebbero essere quelle del TSM.  

Chi si farà carico di tali costi? Perché i proponenti non ne parlano?  

Eppure, per permettere i flussi turistici previsti dal progetto tali interventi dovrebbero essere ripetuti per tre mesi invernali almeno due volte al mese (in base ai dati della neve al suolo registrato nell’ultimo decennio del Centro C. Jucci del Terminillo) con un costo certamente ben superiore a 6.6 milioni €, di cui solo 526mila sono previsti nel progetto.  Pertanto, chi si farà carico dei restanti 6 milioni di spese, ammesso che l’innevamento artificiale sia praticabile dato l’aumento delle temperature invernali del Terminillo? Si precisa che tra i nuovi impianti previsti uno solo raggiunge la quota non certo elevata di 1900 mt. Sorprende inoltre che nessuno degli intervenuti in favore del TSM abbia rilevato criticità sulla concreta capacità esecutiva del progetto da parte del consorzio incaricato della sua realizzazione e gestione (SMILE&Co) alla luce del pignoramento e messa all’asta delle quote societarie della “TSM Spa” (Corriere di Rieti 20/01/2016), società che nel consorzio funge da componente tecnica.  

Chiudiamo con una facile profezia: il TSM non passerà, e se non passerà non sarà colpa delle associazioni che lo hanno contrastato – finora le uniche a guardare in faccia la realtà – ma perché si tratta un progetto sbagliato, pensato nel posto sbagliato.

Sicuramente ci sarà chi accuserà le associazioni di essere la causa della bocciatura del TSM, ma diciamo fin da ora che si tratterà di accuse ipocrite, strumentali ed interessate; le associazioni non hanno alcun potere di veto, hanno solo richiesto il rispetto delle norme paesaggistiche e ambientali che tutte le amministrazioni pubbliche dovrebbero rispettare e hanno solo rivelato una inconsistenza del TSM che è di esclusiva responsabilità di chi lo ha concepito e portato avanti contro ogni logica e ragione.

Ma il discorso non terminerà con la bocciatura del TSM; il Terminillo rimane una enorme risorsa per il Reatino, da interpretare e valorizzare con occhi diversi; e a questa nuova prospettiva siamo disponibili con entusiasmo a contribuire.