Le piante delle sponde: la vegetazione ripariale

Le piante delle sponde: la vegetazione ripariale

di Giovanni Damiani – pubblicato sul Volume 2 di Simbiosi Magazine (https://www.simbiosimagazine.it/)

La vegetazione spontanea che si insedia lungo le rive dei fiumi, torrenti e ruscelli, viene chiamata “ripariale”.  La sua struttura forestale è condizionata principalmente dalla vicinanza all’acqua. La troviamo pertanto anche sulle rive dei laghi, degli stagni e in zone umide o soggette ad allagamento e dove la falda freatica è raggiungibile dalle radici delle piante. La componente arborea è costituita, in Italia, soprattutto dalle Salicaceae, una grande famiglia che include tutti i pioppi e i salici. Essa è una componente fondamentale degli ecosistemi fluviali e ha caratteristiche molto particolari, acquisite nel corso dell’evoluzione naturale in prossimità all’acqua, del flusso della corrente, del regime idrologico e, non ultimo, dal clima.

Parliamo infatti di piante che hanno la capacità di avere il proprio apparato radicale in immersione perenne o per lunghi periodi nell’acqua, senza che le radici marciscano, e per questo vengono chiamate “freatofite”. Questa è una caratteristica importante, perché la falda freatica in prossimità di un corso d’acqua o di un lago è quasi sempre affiorante o giacente a poche decine di centimetri di profondità.  Gli ambienti di acque correnti poi sono soggetti a scariche di piene e a esondazioni, con energie fortissime che tendono a trascinare via ogni cosa.  Vicino a essi nessuna specie arborea a legname duro e rigido e che non abbia un solido ancoraggio nel terreno potrebbe sopravvivere e prosperare: a ogni piena le piante verrebbero spezzate ed eliminate fin dalla giovane età.  

L’energia cinetica delle acque nel corso dell’evoluzione ha quindi avvantaggiato il tipo di vegetazione particolare adatta a vivere in un ambiente tanto ostile grazie alla flessibilità estrema dei rami e dei giovani tronchi, alla loro resistenza eccezionale alla trazione (vale a dire allo strappo), con solido ancoraggio a terra garantito da apparati radicali assai sviluppati, con diverse ed efficienti modalità di riproduzione e ad accrescimento rapidissimo adatto a fronteggiare i diversi regimi stagionali delle acque. 

Salici e pioppi si riproducono infatti facilmente per polloni e per talea (riproduzione agamica, che praticamente è una clonazione). Attecchiscono con questa modalità anche in luoghi lontani da quello d’origine, perché un tronco sradicato da una piena o dal vento o un ramo verde spezzato e caduto in acqua può dare vita a un nuovo albero anche a molti chilometri di distanza dove sarà stato portato e depositato dalla corrente, in genere presso un’ansa.

Anche la riproduzione sessuata è molto particolare rispetto ad altre essenze forestali. I semi dei pioppi e dei salici, infatti, sono assai minuscoli e leggerissimi. Il frutto è una capsula che contiene semi a forma di bastoncino, in genere in numero di 8 – 10, esili, lunghi uno o due millimetri, privi di albume e quindi  praticamente pressoché privi sostanze nutritive di riserva a differenza, ad esempio, dei frutti dei faggi (fagìole) o delle ghiande delle querce. Essi sono in grado di germinare immediatamente dopo essere stati emessi ma possono restare vitali, in quiescenza,  per un periodo limitato, in genere solo di qualche mese, trascorsi i quali muoiono. I piccolissimi embrioni possono germinare poi solo in condizioni di suoli con elevata umidità. I generi Salix e Populu sono dotati tuttavia di semi non molto longevi.

Le Salicacee sono soggette, in generale, a facile ibridazione. Non è un limite al successo della loro riproduzione sessuale…anzi.  Queste piante infatti impiegano la propria energia vitale per produrre una straordinaria quantità di semi, come possiamo vedere comunemente nei pioppi. Questi sono piante a sessi separati e gli esemplari femminili producono i propri embrioni leggerissimi, circondati da un arillo cotonoso espanso (comunemente chiamati “pappi”), in quantità straordinarie; questi si disperdono “veleggiando” nell’aria e possono essere trasportati dal vento a distanze incredibili; tuttavia per queste piante la modalità di propagazione aerea non è la sola a disposizione, perché ve ne è un’altra che potremmo definire di  “microfluitazione” o di “drift”. Parliamo dei pappi depositatisi sull’acqua dei fiumi, galleggiando sulla superficie, che vengono trasportati a valle e in buona parte terminano il loro viaggio col posarsi su qualche parte del greto ove i semi possono germinare.  Stocasticamente con questa strategia saranno molti i semi “fortunati” che troveranno condizioni idonee di sviluppo, iniziando ad emettere immediatamente una radichetta embrionale che diviene poi un fittone che si accresce in pochi giorni. Così, quando nel nostro clima mediterraneo arrivano le piogge e le piene autunnali-invernali, le plantule che hanno germinato per prima, flessibilissime, e che hanno già acquisito un ancoraggio radicale di 30 – 40 cm o più, piegandosi nella corrente divenuta forte minimizzano la propria esposizione all’acqua, riuscendo a non essere estirpate. 

Tutta la struttura dell’albero sembra adattata allo scopo di una grande produzione di semi e a un accrescimento veloce. Il polline ad esempio è molto piccolo (25-30 millesimi di millimetro) ma molto abbondante e l’impollinazione può essere sia anemofila che entomofila. Osserviamo la foglia di un pioppo: ha un picciolo ben allungato, schiacciato lateralmente, con elasticità “giusta” perché possa oscillare su un piano sub-orizzontale al minimo spirare del vento. L’albero così può permettersi di avere tante foglie a lamine larghe che, come ogni altro albero, sono disposte per captare quanta più luce ma, nel nostro caso, c’è un vantaggio in più dovuto alla facilità e al “tipo” di movimento che fanno sì che  molta luce solare possa filtrare anche negli strati di fogliame inferiori che viceversa rimarrebbero in semi-ombra. Questa particolarità fornisce all’albero maggiore capacità fotosintetica, un “motore biologico turbo” che è alla base della notevole velocità di accrescimento. Vista da lontano la massa delle foglie di un pioppo che oscillano al vento richiama alla mente il brulichio di una folla umana in un mercato o una festa padronale di paese: viene attribuito a questa similitudine il termine  del genere , “Populus” (popolo).  La flessibilità dei rami dei salici è tale che viene sfruttata fin dall’antichità per realizzare, intrecciati finemente, cesti assai leggeri e resistenti, nasse per la pesca fluviale e, in passato, persino per ponti per l’attraversamento dei corsi d’acqua, chiamati “ponti di fascine”. 

In definitiva queste piante assommano in sé una molteplicità di strategie di riproduzione, di crescita e di adattamento che ne determina il successo evolutivo. Se è vero che la presenza del fiume con i suoi episodi di violenza ha determinato la selezione delle caratteristiche uniche di questa vegetazione, è altrettanto vero che essa ha determinato l’aspetto fisico e morfologico dell’ambiente fluviale e del paesaggio. Se non ci fosse questa vegetazione (unitamente a quella erbacea come Fragmites, Tipha, Carex, Scirpus che hanno le medesime caratteristiche di ancoraggio radicale, flessibilità e di resistenza allo strappo), i nostri corsi d’acqua apparirebbero come desolati canali con le ripe franose simili ai canyon del Rio Grande: la violenza delle acque avrebbe eroso, scavato e desertificato tutto l’immediato intorno. 

La vegetazione riparia svolge diverse funzioni essenziali negli ecosistemi acquatici.  Innanzitutto è un efficace filtro -tampone protettivo della qualità dell’acqua. La lettiera riparia è assai spessa, soffice e umificata, in grado di bloccare quasi tutto quello che le acque meteoriche, ruscellando superficialmente, erodono dai terreni circostanti, inclusi gli inquinanti diffusi che vengono trappolati, degradati o, per gli inquinanti persistenti come i metalli pesanti, resi non biodisponibili. Il pabulum microbico della lettiera e dell’humus riesce a scomporre in tempi bevi anche sostanze organiche xenobiotiche normalmente resistenti alla biodegradazione. Un fiume che ha la sua vegetazione integra, inoltre, presenta generalmente acque limpide perché è ridotta o completamente bloccata l’erosione meteorica superficiale dei terreni circostanti.  .  

Inoltre le foglie che in autunno cadono in acqua hanno un ruolo ecologico importantissimo per la vita fluviale: quelle dei pioppi e dei salici sono particolari: presto si rigonfiano divenendo più tenere, poi divengono color marrone perché colonizzate al loro interno da microfunghi che le arricchiscono di elementi nutritivi, e infine costituiscono una dieta ottimale per l’intera copiosa comunità degli organismi invertebrati acquatici detritivori che sono a loro volta alla base, ad esempio, dell’alimentazione dei pesci, del merlo acquaiolo, dell’avifauna limicola e degli anfibi. Gran parte degli apporti trofici negli ecosistemi fluviali deriva dalla vegetazione di sponda, piuttosto che dagli organismi fotosintetici che vivono immersi nella corrente. 

Le funzioni importantissime della vegetazione riparia nell’ecologia fluviale sono ancora tante. Ne fornisco un rapido accenno. Essa fornisce ombreggiamento limitando, nei tratti di alveo fotosintetici, l’eccesso di proliferazione algale e l’abbagliamento delle specie animali che non amano la luce diretta come molti invertebrati e le trote (che sono sprovviste di palpebre) e che predano gli invertebrati.  Protegge inoltre l’acqua dal riscaldamento, sia con la propria ombra e sia per l’evapotraspirazione che è piuttosto elevata; bisogna richiamare il fenomeno fisico per cui il cambiamento di stato dell’acqua da liquida a vapore avviene a spese dell’energia sottratta all’ambiente esterno, cosicchè l’evapotraspirazione funziona come un condizionatore che riduce la temperatura ambientale. Le basse temperature favoriscono un adeguato tenore di ossigeno disciolto a tutto vantaggio per la vita acquatica. La vegetazione dei corsi d’acqua realizza microhabitat per una moltitudine di organismi e favorisce un’elevatissima biodiversità entro l’acqua e sulle sponde; le radici flottanti degli alberi sono microhabitat per molte specie e zone di rifugio per i pesci. È una vegetazione che consolida e stabilizza le sponde, contrastandone l’erosione e il franamento che causano l’interrimento accelerato di zone fluviali di pianura.  Con la sua “rugosità”, unitamente alla vegetazione erbacea e ai salici arbustivi, frena l’impeto della corrente, trattiene più a lungo l’acqua sul territorio mitigando le piene, aumentando i “i tempi di corrivazione” e in definitiva svolgendo un’imponente azione di regimazione che contrasta il rischio idrogeologico. Il permanere dell’acqua rallentata sul territorio inoltre ne favorisce l’infiltrazione laterale e la diffusione all’interno i ghiaioni permeabili delle sponde e quindi la ricarica delle falde.  

La vegetazione riparia intrappola i nutrienti il cui eccesso è assai nocivo per le acque e, per quanto riguarda quelli azotati, attraverso le reazioni nitro-denitro li scompone fino al livello di azoto elementare che viene restituito all’atmosfera. Favorisce inoltre la transizione acqua – terra di specie animali: insetti come le libellule, le effimere, svariate famiglie di ditteri, ma anche vertebrati come tutti gli anfibi, molti rettili… Lo svolgersi del ciclo della materia, tanto più efficace quando maggiore è la biodiversità nell’ecosistema, aumenta l’efficienza dell’autodepurazione biologica tipica delle acque correnti e la cui “funzionalità” è oggi alla base delle finalità della normativa introdotta dalla Direttiva Quadro sulle Acqua (Framework Water Directive 60/2000/CE e della normativa italiana D.Lsl 152/2006 e s.m.i.). 

La fascia ecotonale acqua-terra perennemente umida o di acque bassissime o a inondazione periodica, ricca anche di vegetazione erbacea che ha le radici o i rizomi immersi nell’acqua e la parte restante aerea, come la cannuccia d’acqua, le tife e i carici (chiamata “elofitica”) è quella a più alta efficienza autodepurativa. Questi ambienti infatti vengono oggi “copiati” e riprodotti artificialmente, come veri e propri impianti di depurazione degli scarichi fognari che in Italia sono noti come “fitodepuratori”, raccomandati peraltro dalla normativa per le caratteristiche di basso impatto ambientale e alta efficienza, economicità di gestione e perfetto inserimento nel paesaggio in cui risultano non percepiti alla vista. 

Le fasce ripariali costituiscono i principali habitat di rifugio per la fauna e sono “corridoi ecologici” naturali del territorio per i mammiferi lungo le sponde, per l’avifauna migratrice che memorizza, per orientarsi, le linee dei corsi d’acqua come riferimenti geografici, mentre all’interno delle acque il corridoio fluviale consente le migrazioni interne dei pesci. 

Alcuni ricercatori che studiano gli ambienti fluviali e le zone umide (wetlands) hanno definito questi ambienti “supermarkets of biodiversity”: ambienti ricchissimi di specie. Essi, per gli aspetti della biodiversità,  sono la nostra “Amazzonia”.  Quanto conta la vegetazione riparia sulla buona dotazione di biodiversità, sulla stabilità ecosistemica, sulla resilienza e sulla “funzionalità”, aspetti che garantiscono insieme anche benefici ecosistemici, è cosa che sfugge alla normale comprensione. Cito un esempio illuminante. In Abruzzo fiumi di acque sorgive oligominerali, purissime, come il Vera (Paganica-L’Aquila), il Tirino superiore (Bussi e Capestrano- Pescara) hanno livelli naturalità elevati e di biodiversità straordinari, con presenza di specie rare, come plecotteri, estinti altrove per la loro sensibilità ai disturbi ambientali, ed endemismi. A pochi chilometri nello stesso areale il fiume Giardino (la cui portata è ridotta a causa di captazione della sorgente ad uso acquedottistico), con acque oligomineali e perenni, è privo della quasi totalità delle specie rispetto ai predetti fiumi. 
La differenza sta nel fatto che il Vera e il Tirino superiore hanno ripe vegetate ed alveo naturali, mentre il Giardino ha sponde prive di qualsiasi vegetazione arborea e sponde ed alveo sistemati con il cemento. Quanti danni fanno le sistemazioni degli alvei e delle sponde con il cemento e con  le gabbionate, le cosiddette “regolarizzazioni” di corsi d’acqua, i tagli indiscriminati della vegetazione riparia, che ancora oggi vengono effettuate, per giunta con denaro pubblico! 

Mentre scrivo un albericidio è in atto nel Parco Naturale Regionale Sirente-Velino, in provincia dell’Aquila, e stragi simili mi vengono segnalate in Romagna e in altre parti d’Italia. Alla base di queste azioni riprovevoli c’è la frammentazione delle competenze, l’interesse a lucrare sul legname, spesso l’ignoranza spinta di funzionari pubblici che rivestono ruoli-chiave nei processi amministrativi, l’assenza di controlli, autorizzazioni date con leggerezza stravagante, errate convinzioni idrauliche (velocizzare le acque perché non esondino localmente, ma aggravando il rischio idraulico a valle), incapacità di cogliere lo spirito e il dettato della Direttiva Quadro Europea delle acque, che ha come obiettivo il ripristino di flora e fauna a un buon livello di integrità ecologica e idromorfologica per garantire il potere autodepurativo degli ambienti acquatici.

La normativa vigente imporrebbe l’esatto contrario di quanto è in atto: la riqualificazione ecologica dei corsi d’acqua, e la restituzione ai fiumi del proprio spazio vitale. Ma questa è materia per un altro articolo. Ovviamente lungo i nostri corsi d’acqua non troviamo solo Salicaceae: importante è la presenza, ad esempio, dell’Ontano nero (Alnus glutinosa), del Sambuco (Sambucus nigra) e diverse altre specie tra cui poco noto è probabilmente l’Oleandro (Nerium oleander) che in fiumi della Sardegna dà luogo a fioriture spettacolari. Man mano che ci allontaniamo dall’acqua troviamo alberi a legname sempre più duro, passando per i frassini (Fraxinus excelsior e F. oxycarpa), olmi (Ulmus minor) ma anche aceri campestri, fino ad arrivare, nelle zone oramai abbastanza asciutte, alle querce, ai faggi e altre specie di habitat completamente diverso.  

Che fare per la riqualificazione dei fiumi e il restauro del paesaggio? Tra le tante cose basterebbe solo un provvedimento di effettiva tutela delle sponde per una fascia spessa circa 150 metri, o per quanto possibile, per vedere rinascere o comunque migliorare di molto la qualità dei nostri fiumi e il paesaggio senza spendere un solo euro. La vegetazione riparia infatti è talmente rapida nel ri-colonizzare spontaneamente i suoi spazi e ad accrescersi che in pochissimi anni con la sola tutela avremmo già risultati sorprendenti. 

                                                     .  

Commenti al Piano Nazionale di Resilienza e Rilancio (PNRR)

Commenti al Piano Nazionale di Resilienza e Rilancio (PNRR)

Sono passati diversi mesi dalla presentazione della seconda bozza del PNRR da parte del governo
Conte al parlamento in data 15 gennaio, un documento che era già connotato da un grave
squilibrio nella ripartizione interna tra i quattro capitoli della Missione “Rivoluzione verde e
transizione ecologica”. Il primo M2C1 era finanziato con 69,8 Miliardi sul totale di 196, ma di cui
solo il 10% pari a 7 Miliardi erano destinati alla “sostenibilità ambientale” in agricoltura ed alla
attuazione di politiche di “economia circolare”.
Dei 7 Miliardi veniva destinata all’“Economia circolare” una quota di appena 4,5 Miliardi – pari al
6,44% del budget – di fatto finanziando soltanto il “recupero di energia”, fase che non fa più parte
dell’economia circolare che prevede le sole fasi di prevenzione-riutilizzo-riciclaggio. In particolare
si prevedeva di utilizzare per il progetto impropriamente titolato “economia circolare” la quasi
totalità dei fondi (3,7 dei 4,5 Miliardi) destinati a sostenere esclusivamente la produzione di
combustibili come il “BIO-METANO”, derivato dalla depurazione del BIOGAS prodotto a sua volta
da scarti agricoli e dalla frazione organica dei rifiuti urbani, senza considerare che l’articolo 3 punto
15 bis, l’articolo 11 comma 2 e l’articolo 11 bis comma 5 della direttiva 851/2018/CE, della
direttiva 851/2018/CE, recepita dal parlamento con il D. Lgs. 116/2020, hanno introdotto il
“recupero di materia” ed escluso del tutto dagli obiettivi di riciclaggio dell’economia circolare
questo tipo di recupero di energia.
Con l’insediamento del governo Draghi pensavamo che tali evidenti squilibri fossero superati e che
nel comparto “Rivoluzione verde e transizione ecologica” venisse supportata la vera “economia
circolare” basata sul “recupero di materia” attraverso il riutilizzo di beni, il compostaggio aerobico
dell’organico ed il riciclaggio delle frazioni inorganiche per quanto riguarda la valorizzazione dei
rifiuti differenziati. Per quanto riguarda il comparto energia ci saremmo aspettati una visione di
medio – lungo termine con un chiaro rifiuto del ricorso all’idrogeno “grigio” o “blu”, quindi da
metano o bio-metano, che non sono a emissioni zero.
Dobbiamo constatare invece che anche nella bozza del PNRR del governo Draghi le scelte principali
vengono confermate attribuendo alla “Rivoluzione verde e transizione ecologica” la cifra ancora
troppo bassa di 4,5 Miliardi, attribuendola quasi interamente alla produzione di bio-metano (con
1,5 Miliardi per la riconversione a “bio-metano” del 70% degli ottocento vecchi impianti di biogas
e 2,2 Miliardi per la costruzione di nuovi impianti per la produzione di “bio-metano”). In pratica la
scelta strategica del governo Draghi si basa sull’assunto che l’economia circolare è rappresentata
dal passaggio dai combustibili fossili al biometano derivato dal biogas ed a questo passaggio
assegna ingenti risorse, affermando che “Il bio-metano è strategico per la decarbonizzazione e
l’economia circolare, massimizzando l’energia di recupero da scarti biologici agricoli e
agroindustriali” per “sostituire i combustibili fossili con il biogas” !
A proposito di “bio”-metano, ricordiamo anche che esso risulta indistinguibile nella sua struttura
chimica da quello di origine fossile, e che questo gas deve essere combusto per essere utilizzato.
Diversi recenti studi mostrano altresì come i mezzi pesanti alimentati a metano emettano più CO2
e particolato di quelli alimentati a diesel o a benzina. E’ noto che le combustioni in generale non
possono rappresentare un’alternativa alla decarbonizzazione ad “emissioni zero” né tantomeno
uno strumento di contrasto ai cambiamenti climatici. Occorre considerare altresì che un impianto
di biogas da 1 Megawatt necessita di circa 400 ettari di terreno per coltivare mais e sorgo come
“materia prima”, per cui OGGI i 1.600 impianti attuali in gran parte nel Nord Italia “occupano”
oltre 640.000 ettari sottratti alle coltivazioni per l’alimentazione umana e zootecnica, sebbene il
PNRR del governo Draghi ne citi “soltanto” 560 da riconvertire.
Tra le note criticità dovute alla gestione di impianti che producono biogas, specialmente nel Nord
Italia, vi è un severo danno ambientale dovuto alla pessima qualità del “digestato” prodotto,
contenente composti azotati e metalli pesanti che vengono quindi sparsi sui campi contaminando
coltivazioni, terreni e corsi d’acqua. Tutto ciò è accompagnato dalla falsa narrazione secondo cui il
Bio-metano potrebbe addirittura “sostituire i combustibili fossili”, nell’utilizzo per autotrazione.
Diversi recenti studi mostrano come i mezzi pesanti alimentati a metano emettano più CO2 e altro
particolato tossico rispetto a diesel e benzina. Nel paper redatto a settembre 2019 dalla
“European Federation for Transport and Environment AISBL” viene riportato che il GNL (Gas
naturale liquefatto / metano al 99%) e lo stesso Bio-metano utilizzato per autotrazione non
sarebbero affatto sostenibili, anzi produrrebbero un inquinamento atmosferico da NOx e da
particolato PM2,5 e PM10 5 volte superiore ai motori Diesel modello 2013.

https://www.transportenvironment.org/sites/te/files/publications/2019_09_do_gas_trucks_reduce_emissions_paper_IT.pdf


Dai dati ufficiali del GSE – il Gestore Servizi Energetici, si apprende inoltre che il finanziamento
annuo a fondo perduto per la quota di elettricità prodotta da “Fonti Energetiche Sostenibili” e da
fonti “assimilate” (come inceneritori – centrali a biomasse – impianti a biogas/biometano) è pari a
circa 12 miliardi di euro, di cui per il solo biogas circa 1,5 miliardi di euro, a fronte di una
produzione di energia da biogas nel periodo 2015-2020 pari solo allo 0.04% del totale.

https://www.gse.it/documenti_site/Documenti%20GSE/Studi%20e%20scenari/Energie%20rinnovabili_scenari%20al%202020.pdf

L’interpretazione dell’“Economia circolare” che emerge dalla bozza di PNRR del governo Draghi
rischia dunque di ritardare la transizione ecologica e di mettere seriamente a rischio la possibilità
per l’Italia di accedere ai fondi del NextGenerationUE, la cui erogazione dovrà rimanere coerente
ai principi stabiliti e a quanto previsto nelle direttive europee sull’economia circolare. Citiamo
pertanto la comunicazione del 12 febbraio 2021 della Commissione Europea secondo cui “il
regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF, Recovery and Resilience
Facility) stabilisce che nessuna misura inserita in un piano per la ripresa e la resilienza (RRP,
Recovery and Resilience Plan) debba arrecare danno agli obiettivi ambientali ai sensi dell’articolo
17 del regolamento Tassonomia. Ai sensi del regolamento RRF, la valutazione degli RRP deve
garantire che ogni singola misura (ossia ciascuna riforma e ciascun investimento) inclusa nel piano
sia conforme al principio “non arrecare un danno significativo” (DNSH, “do no significant harm”)”
Invitiamo quindi tutte le forze politiche della maggioranza e dell’opposizione parlamentare a
riflettere attentamente sulla gravità di queste previsioni illegittime, anche se ancora in fase di
definizione, ed invitiamo tutte le associazioni “ambientaliste”, i comitati, i medici, i giovani e tutti i
cittadini a cui preme la tutela della salute pubblica e dell’ambiente a sottoscrivere il presente
comunicato per avviare un dibattito pubblico sulle azioni che condizioneranno il futuro di tutti, per
contrastare scelte che non sono sostenute da prove scientifiche né per quanto attiene ai benefici
ambientali né tantomeno per la salute. L’attuale situazione richiede il massimo rigore e la massima
adesione alle evidenze per scongiurare non solo una sostanziale inefficacia delle misure adottate,
ma, cosa davvero grave, un ulteriore peggioramento delle condizioni ambientali, climatiche e di
salute.
Per info e adesioni : leggerifiutizero@gmail.com oppure postmaster@pec.leggerifiutizero.org
I co-promotori del presente comunicato si impegnano a coordinare ed a darne ampia diffusione:

  1. Massimo Piras per il Movimento Legge Rifiuti Zero per l’economia circolare,
  2. Roberto Romizi per ISDE Italia medici per l’ambiente,
  3. Angelo Consoli per il Centro Europeo Terza Rivoluzione Industriale – CETRI-TIRES,
  4. Giovanni Damiani per il Gruppo Unitario per le Foreste Italiane – G.U.F.I.
  5. Stefano Deliperi per il Gruppo di Intervento Giuridico – GrIG
  6. Gianni Cavinato per l’ Associazione Consumatori Utenti – ACU
  7. Maurizio Pallante per il movimento Sostenibilità Equità Solidarietà – SEquS

    Aderiscono al presente appello le prime associazioni, comitati territoriali e singoli attivisti:
    • Associazione ambientalista VAS Onlus
    • Associazione Rifiuti Zero Piemonte
    • Associazione Zero Waste Sardegna
    • Associazione Impatto Ecosostenibile Zero Waste Campania
    • Associazione Zero Waste Lazio

• Associazione Osservatorio Molisano Legalità
• Dott. Massimo Blonda – biologo ricercatore IRSA-CNR Bari
• Associazione Aria pulita Spilimbergo (PN) – Friuli-Venezia Giulia
• Associazione Ambiente Futuro Lombardia
• Friday For Future – gruppo di Roma
• Arch. Paolo Gelsomini – attivista comitato DeLiberiamo Roma
• Coordinamento Provinciale Comitati Ambiente e Salute – Reggio Emilia
• Carlo Lugli – D.E.S. Modena (Distretto di Economia Solidale delle Provincia di Modena)
• Vanda Morbilli – attivista comitato DeLiberiamo Roma
• Paolo Venezia – attivista Roma
• Associazione Mamme Salute Ambiente ODV – Venafro ISERNIA
• Marco Conte – portavoce comitato DeLiberiamo Roma
• Associazione DiversaMente di Vallefoglia PU – Marche
• Marcello Paolozza – attivista comitato DeLiberiamo Roma
• Movimento Azione Civile – Molise
• Prof.ssa Daniela Poli – Dipartimento di Architettura Università degli studi di Firenze
• Studio legale Saltalamacchia – Napoli
• Comitato No Biodigestore Saliceti – La Spezia
• Forum provinciale per i Beni Comuni Pesaro-Urbino
• Forum Rifiuti Zero Veneto
• Centro per le Comunità solari – Bologna
• Rete Emergenza Climatica e Ambientale – EmiliaRomagna
• Friday For Future – Ferrara
• WWF – Rimini
• Associazione La Lupus in Fabula – Pesaro Urbino
• Associazione Viviamo Vitinia Onlus – Roma
• Comitato Stanga – Padova
• Associazione Arianova – Pederobba Treviso
• Dott.ssa Vitalia Murgia – Università di Pavia
• Associazione Ambiente Basso Molise – Guglionesi CB
• Cooperativa mutuo soccorso Generazioni Future – Roma
• Associazione cittadina “Solidarietà e Partecipazione” – Castrovillari – CS
• Associazione Ambientalista “il riccio” – Castrovillari CS
• Società Italiana Protezione Beni Culturali – sezione Molise
• Comitato No Megadiscarica Villacidro – Medio Campidano VS
• Assemblea permanente Villacidro – Medio Campidano VS
• Italia Nostra Sardegna
• Unione Sindacale di Base – USB Sardegna
• Comitato Vogliamo Pane non Oil – Bologna

Appello a Draghi per le foreste. Stop al taglio delle nostre foreste per produrre energia.

Appello a Draghi per le foreste. Stop al taglio delle nostre foreste per produrre energia.

Presidente del Consiglio dei Ministri – Prof. Mario Draghi 

Ministro della Salute – On. Roberto Speranza 

Ministro della Transizione ecologica – Prof. Roberto Cingolani 

Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali – On. Stefano Patuanelli  ministro@politicheagricole.it 

Ministro dello Sviluppo Economico – On. Giancarlo Giorgetti 

Produzione di energia da biomassa legnosa e salvaguardia del patrimonio forestale  internazionale. 

Egr. Presidente del Consiglio dei Ministri, 

in occasione della Giornata Mondiale delle Foreste indetta dalle Nazioni Unite il 21 marzo di ogni  anno, vogliamo richiamare l’attenzione delle istituzioni sulla effettiva tutela del nostro patrimonio  forestale oggi sottoposto ad un crescente sfruttamento per la produzione di biomassa a fini energetici.  

Ciò si somma alle minacce che storicamente ne compromettono l’estensione e soprattutto la qualità,  come gli incendi, i cambiamenti climatici e il sovra-sfruttamento. 

Negli ultimi anni, il crescente fabbisogno energetico della nostra società ha avviato l’utilizzo dei  nostri boschi e di foreste in altre parti del Pianeta per produrre biocombustibile per le centrali a  biomassa. Un recente articolo pubblicato sulla rivista “Nature” riporta un incremento del 49% della  superficie forestale europea sottoposta a taglio e un incremento delle perdita di biomassa del 69% in  tutta Europa, nel periodo 2016-2018 rispetto al quinquennio precedente. Il Wood Resource Balance  (WRB) dell’Unione Europea (2018) mostra un incremento in Italia da 12 mila a 43 mila metricubi tra  il 2009 e il 2015, tra i primi cinque Stati dell’EU28. L’ultimo rapporto annuale del EU Joint Research  Centre (2021) riporta che ‘il divario tra gli usi e le fonti dichiarate di biomassa legnosa possono  essere in gran parte attribuito al settore energetico e consistono principalmente in rimozioni  sottostimate“. In altre parole, la gran parte di legno non contabilizzato a livello europeo può essere  attribuita principalmente al consumo di energia! 

A questo si aggiunge che l’Italia è tra i maggiori importatori di “pellet”, per circa l’85% dei consumi, generando prelievi forestali e impatti sugli ecosistemi forestali fuori dal nostro Paese. 

Questa tendenza è favorita dalle politiche, sia a livello europeo, sia nazionale, di deduzioni fiscali e di incentivi economici che hanno alimentato l’incremento dell’uso di questo combustibile per riscaldamento e produzione energetica, promuovendolo come “ecologico” e rinnovabile, sebbene  sussistano varie criticità in merito.

La produzione di energia è centrale nello sviluppo delle nostre società e per la qualità della vita dell’uomo, tuttavia è ormai improcrastinabile avviare una decisa conversione dei sistemi di  produzione, abbandonando le fonti fossili e sviluppando le fonti rinnovabili e sostenibili. Nonostante  lo sviluppo di fonti rinnovabili negli ultimi anni, purtroppo i livelli crescenti dei consumi energetici  ci dicono che la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata finora in aggiunta e non sostitutiva  rispetto quella da fonti fossili. 

In questo processo di transizione occorre prestare la dovuta attenzione e cautela agli impatti che la  produzione di energia da fonti rinnovabili può determinare. Vogliamo infatti sottolineare che  rinnovabile non vuol dire di per sé sostenibile, se viene trascurata la mitigazione e la compensazione delle minacce per la biodiversità e il paesaggio. Nel caso dell’uso delle biomasse forestali occorre  anche considerare che non è una produzione neutra e che complessivamente, per ogni chilowattora di  calore o elettricità prodotta, è probabile che l’uso del legno inizialmente aggiunga in atmosfera da due  a tre volte più carbonio rispetto ai combustibili fossili. 

Con questa lettera, Green Impact e Gruppo Unitario per le Foreste Italiane (GUFI) – le due  organizzazioni italiane che aderiscono alla Forest Defenders Alliance, un’alleanza che riunisce oltre  100 Organizzazioni Non Governative in 27 Paesi del Mondo (https://forestdefenders.eu/) – desiderano esprimere la crescente preoccupazione sull’inclusione delle biomasse forestali tra le fonti rinnovabili e sostenibili. Tale inclusione sta dando una forte spinta all’utilizzo dei nostri boschi e delle foreste di  molte altri parti del Pianeta, compromettendo ecosistemi forestali di elevato valore naturalistico e i  benefici che questi producono in termini di servizi ecosistemici.

L‘impiego delle biomasse legnose a scopo energetico è tutt’altro che neutrale rispetto alle emissioni  di anidride carbonica in atmosfera e contrasta con il perseguimento degli obiettivi di limitazione del  riscaldamento globale, secondo gli accordi assunti a Parigi nel 2015, ben al di sotto dei 2ºC con i  sforzi per limitarlo a 1,5ºC. La presunta neutralità è smentita dalle emissioni necessarie per l’apertura  dei cantieri e delle piste forestali, per i tagli, per la movimentazione con mezzi meccanici, per i  trasporti in centrale, per la frantumazione o riduzione in pellet. Va altresì considerata la quota di  carbonio immobilizzata nei boschi nella lettiera, nell’humus e nel biota vivente dei suoli e la  componente non esalata in atmosfera che nel sottosuolo si combina con l’acqua dando origine a  bicarbonati solubili che stabilizzano il pH degli ecosistemi acquatici rendendoli idonei ad ospitare  notevole biodiversità e resilienza. Si aggiunga a questo che mentre le emissioni in atmosfera derivanti  dalla combustione sono immediate, l’assorbimento richiede molto tempo per la perdita di funzioni  degli ecosistemi disboscati e per i lunghi tempi di crescita di nuove piante.

Inoltre, la produzione di biomassa legnosa da conferire come combustibile nelle centrali a biomassa  sta spingendo nel nostro Paese alla conversione a ceduo con turni brevi determinando il serio rischio  di compromettere il capitale naturale a medio e lungo termine. Basta citare un dato: nel nostro Paese  le utilizzazioni forestali negli ultimi 15 anni sono aumentate di circa il 70%. 

Ad evidenziare l’importanza di questo tema, a febbraio scorso oltre 500 scienziati, anche italiani,  hanno inviato una lettera a cinque leader politici mondiali (la Presidente della Commissione Europea,  Ursula von der Leyen; il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michael; il Presidente degli Stati  Uniti d’America, Joe Biden; il Primo Ministro del Giappone, Yoshihide Suga e il presidente della  Corea del Sud, Moon Jae-in) per chiedere di arrestare l’utilizzo di biomassa legnosa di origine  forestale per produrre energia su grande scala.

Vogliamo in modo analitico e sintetico soffermarci sui punti chiave per cui riteniamo che la  produzione di energia dalla combustione della biomassa forestale rappresenta un elemento di forte  criticità:

la conversione dei sistemi di produzione energetica con l’abbandono dei combustibili  fossili come petrolio, carbone e gas naturale è imposta dalla necessità di ridurre  l’immissione in atmosfera di gas clima-alteranti, mentre l’uso delle biomasse forestali  produce anidride carbonica e allo stesso tempo compromette le funzioni degli  ecosistemi forestali di assorbirla e di produrre ossigeno. Contrariamente all’opinione  diffusa, la combustione del legno non è climaticamente neutra e contribuisce in modo  significativo all’effetto serra. 

✓ La combustione del materiale legnoso, in ambito domestico e in grande quantità negli  impianti industriali di produzione energetica, produce particolato sotto forma di polveri  sottili PM 2,5 e PM 10, oggi riconosciute all’origine di molte patologie umane e causa  di morte nell’ordine di decine di migliaia di persone all’anno. In molti contesti la  tecnologia idonea a eliminare o almeno ridurre le emissioni non è adottata. 

✓ Sebbene negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un aumento in termini di superficie  dei nostri boschi a causa dell’abbandono delle aree marginali agricole collinari e  montane, lo stesso non si può dire per la loro qualità, come testimoniano i bassi livelli  di biodiversità nei boschi di neo-formazione e anche dal volume medio della biomassa  legnosa italiana, meno della metà degli altri Paesi europei (circa 150 mc/ha, contro  quella di altri Paesi europei di 350 mc/ha). 

✓ La produzione di biomassa legnosa per le centrali a biomassa impone modelli di  gestione a ceduo con cicli brevi che compromettono la qualità dei boschi e i servizi  ecosistemici forniti. La gestione a ceduo per la produzione di biomassa a scopo  energetico arreca un danno, reale e potenziale, all’intera filiera del legno con perdita  delle specie pregiate (es. le specie del Genere Acer e alcune del Genere Quercus)  utilizzate nell’industria del mobile, del parquet, della cantieristica, della piccola  manifatturiera (es. strumenti musicali) e l’artigianato. La gestione del patrimonio  boschivo deve invece essere guidata da principi ecologici che garantiscano il  rinnovamento, l’aumento della qualità forestale, i livelli di biodiversità in modo  compatibile con la produzione di massa legnosa. 

✓ I boschi devono essere considerati non come un’insieme di alberi, ma come un  complesso ecosistema composto da migliaia di specie vegetali e di decompositorie (complessi ecosistemi composti da migliaia e migliaia di organismi autotrofi ed  eterotrofi) e quindi la loro gestione non può essere affrontata ponendosi come obiettivo  la produzione di materiale legnoso e al contempo trascurando le specie viventi e le  funzioni ecologiche. 

✓ Gli ecosistemi forestali forniscono numerosissimi servizi ecosistemici alla biodiversità  e alla specie umana, dai servizi di supporto come la formazione del suolo, la fotosintesi,  il riciclo dei nutrienti ai servizi di approvvigionamento (cibo, acqua, legno, fibre, ect),  a quelli di regolazione come la stabilizzazione del clima, l’assesto idrogeologico, la  barriera alla diffusione di malattie, il riciclo dei rifiuti, la purificazione dell’aria e la  qualità e quantità dell’acqua nei bacini idrografici. Per la nostra specie si aggiungono i  servizi culturali con i valori estetici, ricreativi, culturali, scientifici e spirituali. Per  questo la gestione degli ecosistemi deve tenere in considerazione tutte queste funzioni.

GREEN IMPACT 
Start-up non profit che promuove pratiche trasformative ecologiche ed economiche. Il nostro  principale obiettivo è conservare e ripristinare l’equilibrio del pianeta, dando impulso all’innovazione  della cultura e dei saperi, così da migliorare il benessere degli animali, domestici e selvatici. Nel  portare avanti la nostra missione di tutela dell’ambiente, degli animali e dei loro habitat, privilegiamo  soluzioni che abbiano un impatto socio-economico multidisciplinare, facendo leva sull’innovazione  e sugli sviluppi tecnici, scientifici e normativi. Grazie alla nostra rete di esperti, offriamo soluzioni  tecniche e normative in grado di determinare reali cambiamenti. Mettiamo a disposizione della  comunità internazionale dei soggetti interessati tutte le nostre soluzioni a fine di permettere un’  accelerazione di azione collettiva verso il cambiamento. 
Contatti stampa Green Impact
Fabrizio Bulgarini |338 2198878 | f.bulgarini@tiscali.it
www.greenimpact.it/it
www.greenimpact.it/it/green-economy-per-il-cambiamento

GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane 
L’obiettivo primario del GUFI è quello di assicurare la conservazione del patrimonio forestale  nazionale affinché possa essere lasciata in eredità alle generazioni che verranno. Perché la tutela della  biodiversità e del paesaggio naturale dei boschi italiani e dei benefici ecosistemici che questi  assicurano all’uomo sia assicurata è necessario che almeno il 50% della copertura forestale del Paese  sia lasciata alla libera evoluzione. Ciò è possibile senza entrare in conflitto con le esigenze  economiche di tipo produttivo. Per il GUFI l’idea del futuro forestale dell’Italia è quella di un Paese  in cui i boschi possano tornare ad occupare gran parte dello spazio che è stato sottratto loro dall’uomo  ripopolando le aree attualmente marginali e improduttive e andando a costituire ampie cinture verdi  intorno alle città. Inoltre, i boschi destinati alla produzione devono essere gestiti al fine di produrre  materiali legnosi e non destinati a usi ad alto valore aggiunto. 
Contatti stampa GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane
Valentina Venturi | 340 3386920 | press@gufitalia.it
www.gufitalia.it

NO A UNA NUOVA STRADA INUTILE NEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO

NO A UNA NUOVA STRADA INUTILE NEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO

IL NO DECISO DI TUTTE LE ASSOCIAZIONI ALLA DEVASTAZIONE AMBIENTALE DELL’APPENNINO ABRUZZESE ED ALLO SPRECO DI RISORSE PUBBLICHE CHE LA NUOVA STRADA, ROCCARASO-SCANNO-ORTONA DEI MARSI, CAUSEREBBE

La Stazione Ornitologica Abruzzese (SOA) dopo aver appreso dai mezzi di comunicazione del progetto e  dopo averne acquisito la proposta preliminare presentata in occasioni pubbliche dalla DMC Alto Sangro  (l’agenzia regionale di promozione turistica ) e dall’ UNCEM Abruzzo(Unione Nazionale Comuni  Comunità Enti Montani) ha prodotto un documento inviato nei giorni scorsi ai Comuni interessati ed  all’Ente PNALM da cui emergono aspetti a dir poco sconcertanti sia in termini economico-finanziari e di  corretta definizione in merito alla compatibilità con i principi del Recovery Fund , sia di reale utilità in  alternativa alla viabilità esistente che in riferimento agli impatti ambientali a dir poco devastanti e del  tutto sottovalutati. 

Il percorso della nuova strada a due corsie partirebbe dall’ Altopiano delle 5 Miglia per penetrare dentro  la Montagna Spaccata all’interno della splendida Foresta Demaniale di Chiarano Sparvera per inerpicarsi  fino al suo crinale e con una galleria di oltre 2,4 Km passare dalla intatta Bocca di Chiarano alla  sottostante Valle di Jovana. Tra l’altro il tracciato passerebbe dalla Montagna Spaccata che  attualmente è una forra strettissima dove a mala pena sale una mulattiera, il che richiederebbe la  distruzione completa del piccolo canyon, una “perla” dell’Appennino abruzzese. 

Dalla valle di Jovana la strada proseguirebbe a mezza costa sul versante orografico destro della stessa,  dove ora esiste una sola casa abitata, per scendere sempre sullo stesso versante in un territorio con  boschi e senza alcuna strada o fabbricato fino a Scanno. A valle dell’abitato attraverso un’ altra galleria  seguirebbe sulla sponda orografica sinistra del Lago omonimo per raggiungere Villalago, quindi, poco a monte dell’ abitato un’ altra galleria e viadotti per oltre 4 km porterebbero a San Sebastiano dei Marsi  per raggiungere infine Ortona dei Marsi ed un nuovo svincolo autostradale a Carrito . 

Le associazioni scriventi fanno notare che si andrebbe cosi a sfregiare una parte consistente del  paesaggio montano abruzzese ancora integro che comprende Siti di Interesse Comunitari ( SIC e ZSC ),  Zone di Protezione Speciali (ZPS), aree contigue ai Parchi nazionali e Riserve naturali regionali. 

Tutte le specie animali dell’Appennino abruzzese, molte delle quali protette dalla Direttiva HABITAT  della UE ne sarebbero gravemente impattate esponendo la nostra regione ad una più che sicura  procedura di infrazione comunitaria. L’areale dell’Orso marsicano verrebbe letteralmente stravolto  vanificando tutte le azioni portate avanti da Ministero, Regione , aree protette ed associazioni negli  ultimi 15 anni andando a devastare proprio quel corridoio di connessione che tutti fino ad oggi hanno  definito vitale per garantire l’ampliamento dell’areale della specie e lo scambio di individui tra un parco  nazionale e l’altro. Giova ricordare che qui è nata Amarena, la “famosa” femmina balzata agli onori  della cronaca nazionale la scorsa estate. L’orsa è nata, si è riprodotta ed alleva i suoi 4 orsacchiotti tra  Villalago e San Sebastiano dei Marsi proprio dove passerebbe la nuova strada. 

Ma a cosa servirebbe poi questa strada ? Ha senso in un momento di recessione economica grave  prevedere di spendere 750 MILIONI DI EURO ( ma quali saranno i costi reali ?) per accorciare un  percorso di soli 20 Km che tra l’altro taglierebbe fuori tutto l’Alto Sangro meta di un turismo  escursionistico naturalista da anni in crescita costante ? Roccaraso e Rivisondoli hanno bisogno di una  strada simile quando sono gia servite comodamente ? Lo stato di generale abbandono della viabilita  dell’Abruzzo interno non giustificherebbe invece interventi di miglioramento e manutenzione ormai  irrimandabili piuttosto che una nuova strada “nel nulla” che non serve a nessuno se non alle ditte che se  ne aggiudicheranno la costruzione ? I servizi disastrati dei Comuni della montagna abruzzese (ospedali,  ambulatori, servizi di trasporto pubblico, Farmacie, RSA etc etc..) non meriterebbero questi fondi  invece di aggiungere altro asfalto ad un territorio già piagato dal dissesto idrogeologico ? 

In alternativa a questo progetto insostenibile per la natura e per le popolazioni residenti, le associazioni  invitano la Regione Abruzzo, UNCEM Abruzzo, DMC Alto Sangro e i Comuni interessati a chiedere al  Presidente del Consiglio ed al Governo i fondi per la messa in sicurezza delle strade esistenti. In vista del  centenario del PNALM (2023), bisogna adeguare l’intera rete stradale con aree per la sosta temporanea  dei turisti nei punti panoramici indicati dall’Ente Parco, dotate dei necessari servizi di informazione al  turista e di promozione di tutta l’area e dei suoi prodotti tipici. Sarebbe bene anche affidare la suddetta  rete viaria all’ANAS, evitando cosi altri casi come quello del ponte sul Giovenco sulla SP 17 che attende  ancora il completamento dalla sua riapertura nell’Aprile del 2019 ( dopo che la sua chiusura impose un  anno d’isolamento ai borghi della valle del Giovenco !! ). In conclusione al neo Ministro alle  Infrastrutture e Trasporti Enrico Giovannini ricordiamo che dei 32 miliardi che il Recovery Plan assegna a  infrastrutture e traporti, la metà dovrà essere investita in mobilità sostenibile ed alla luce di quanto  sopra, gli chiediamo di inserire nel suo programma immediato la messa in sicurezza di tutte le strade del  PNALM, comprese le aree attrezzate per i turisti e il recupero e rilancio del treno più alto  dell’Appennino, L’Aquila – Sulmona – Pescocostanzo – Castel di Sangro, per la mobilità dolce all’interno  del sistema dei parchi naturali abruzzesi (Pnalm, Majella, Sirente-Velino, Gran Sasso e Monti della Laga). 

Per le motivazioni di cui sopra le associazioni scriventi fanno appello a tutti i comuni coinvolti alla  Regione, all’ Ente PNALM ed alle Riserve interessate dall’opera affinché prendano le distanze dal 

progetto in argomento ed adottino atti formali di dissenso in merito allo stesso, tali da impedirne il  finanziamento e la, seppur parziale, realizzazione. 

Per info 3355388206 

Firmano il comunicato : 

1. ITALIA NOSTRA Abruzzo 

2. MOUNTAIN WILDERNESS Abruzzo 

3. WWF Abruzzo 

4. LIPU Abruzzo 

5. ITALIA NOSTRA Abruzzo 

6. CAI Abruzzo 

7. STAZIONE ORNITOLOGICA ABRUZZESE 

8. PRO NATURA Abruzzo 

9. SALVIAMO L’ORSO 

10. APPENNINO ECOSISTEMA  

11. Rewilding Apennine 

12. Associazione MONTAGNA GRANDE – Valle del Giovenco 

13. ORSO and Friends 

14. TOURING CLUB ITALIANO Abruzzo 

15. DALLA PARTE DELL’ORSO – Pettorano sul Gizio 

16. FARE VERDE Abruzzo 

17. Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello” 

18. I GUFI 

19. SALVIAMO IL PAESAGGIO 

20. Federtrek – Escursionismo e Ambiente 21. Associazione Italiana Wilderness

La storia di un bosco

La storia di un bosco


Tra gli alberi che formano il Bosco di Valzo si può ritrovare una storia, passo dopo passo, ripercorrendo le tracce di una passione per la scienza e per lo sviluppo della cultura.

È un bosco che ha un nome proprio e permette di ricordare la figura di Carmela Cortini Pedrotti. Il bosco acquistato da Franco Pedrotti, botanico di fama internazionale che ha voluto creare questa riserva naturale per proteggere la biodiversità e dare un senso concreto alla memoria per la sua compagna di una vita intera.

Si trova a Valzo, comune di Vallecastellana, Provincia di Teramo, nel territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso – Monti della Laga. Si estende fra 800 e 1100 metri su un’area di 32 ettari ed è formato da un bosco di roverella, con presenza di carpino nero, cerro, castagno, leccio sui “valzi” rocciosi e – nella parte più alta – anche faggio; lungo il ruscello che nasce da una sorgente all’interno del bosco cresce il salice bianco.

Il “Bosco” attualmente è un ceduo con pochi alberi di alto fusto; è destinato a diventare spontaneamente un bosco di alto fusto con alberi di grandi dimensioni e cioè una fustaia disetanea interessata dal processo ecologico della fluttuazione, ove gli alberi compiono il loro ciclo completo – dal seme allo sviluppo della plantula e quindi dell’albero – fino alla loro caduta per cause naturali.

Dal 18 gennaio 2021, il Bosco “Carmela Cortini” di Valzo, con la firma dell’atto notarile, è diventato proprietà del Fondo Ambiente Italiano (FAI), che ne curerà la protezione, la conservazione e la valorizzazione naturalistica.

Un bosco può significare molte cose: un ecosistema; un elemento vitale nel quale si rinnovano i cicli naturali e si “producono” i servizi ecosistemici; un modo per conservare la natura e gli equilibri. Questo bosco ha un valore aggiunto che è dato dalla testimonianza di una vita dedicata alla scienza e alla natura. Una donna che ha dedicato la propria vita a far crescere la conoscenza scientifica, svolgendo attività di ricerca e di docenza, pubblicando studi e partecipando a conferenze di rilevanza internazionale.

È bello immaginare che quei rami, quei tronchi, continuino a crescere ed evolvere, dimostrando il ruolo della scienza come guida per affrontare il futuro che ci attende: un bosco che è un laboratorio vivo, dove svolgere ricerche scientifiche e studiare le modificazioni e i cambiamenti, raccogliendo dati e apprendendo lezioni (a cura di Andrea Ferraretto, Roma).

Video dedicato al Bosco Carmela Cortini di Valzo
https://www.youtube.com/watch?v=LWEzvxOfzyo&t=1412s

Servizio del TG1 sul bosco di Valzo
http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-1c02e321-b49c-46de-91b7-9f445a389477-tg1.html

Terminillo: il 2021 sancirà l’insostenibilità economica e ambientale del progetto

Terminillo: il 2021 sancirà l’insostenibilità economica e ambientale del progetto

 Si vada verso il riconoscimento del reale valore del Terminillo.

Comunicato stampa delle associazioni: WWF Lazio, Club Alpino Italiano GR Lazio, Italia Nostra – Sabina e Reatino, LIPU-Birdlife Italia, FederTrek – Escursionismo Ambiente, Salviamo l’Orso, ENPA – Ente Nazionale Protezione Animali, Salviamo il Paesaggio Rieti e Provincia, Altura Lazio, Mountain Wilderness Italia, Postribù, Inachis Sez. Gabriele Casciani Rieti, Pro Natura Lazio, Orso and friends, Natour biowatching, Red Fox – Scuola di Natural Survival e Tracking, La Lupus in Fabula, GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste, Balia dal collare Rieti

All’alba del 2021, l’annuncio del parere dell’Area Valutazione d’Incidenza della Regione Lazio al Piano di interventi denominato Terminillo Stazione Montana ha fatto brindare tutti i promotori del TSM al successo, in una rincorsa a prendersi il merito di un’autorizzazione che ancora non c’è.

Un parere pubblicato tra spumanti e panettoni, ma che presenta molti passaggi incomprensibili e inaccettabili, primo fra tutti la mancata firma del Dirigente dell’Area Vinca. Il documento è oltretutto debole in molti punti e con aspetti dichiaratamente non valutati aprendo così la possibilità di distruggere svariati ettari di faggeta in Vallonina, in parte tutelati anche dalla Rete Natura 2000, contraddicendo i pareri del 2010 e del 2015 con i quali la stessa Area Vinca aveva bocciato il progetto nella sua interezza.

Come associazioni che seguono da anni il procedimento di VIA, anche con diverse proposte che avrebbero da tempo consentito lo sblocco dei fondi regionali a favore di un rilancio sostenibile per il Terminillo, abbiamo di conseguenza presentato formale diffida agli organi competenti a concludere il procedimento con pareri privi di validità o non ancora acquisiti e senza tenere conto dell’annullamento del Piano Paesistico della Regione Lazio, ad opera della Corte Costituzionale pochi mesi fa, e di numerose autorizzazioni invalidate dall’evoluzione della normativa nei sei anni del procedimento.

L’unica buona notizia che accogliamo favorevolmente è quella del riconoscimento dell’impatto estensivo sulla faggeta, come già evidenziato dalle nostre osservazioni, che ha portato al parere negativo sul collegamento tra la Sella di Cantalice e gli impianti di Campo Stella in Vall’Organo con numerose prescrizioni sugli interventi rimanenti.

Il riconoscimento del valore estensivo delle faggete e dell’annullamento di un Piano Paesistico, che è stato bocciato proprio per la mancanza di una sufficiente tutela delle “Terre Alte” dalle speculazioni legate all’ampliamento degli impianti sciistici, riteniamo non potrà che portare ad ulteriori pareri negativi in sede di valutazione finale della compatibilità ambientale.

Se così non sarà, le associazioni sono pronte a ricorrere, nelle sedi appropriate, contro ogni atto che possa minare la tutela dei beni ambientali e comuni del territorio del comprensorio del Terminillo.

Un futuro migliore per il Terminillo è possibile. La saturazione del mercato dello sci da discesa nelle poche stazioni ad alta quota rimaste sta spingendo verso la diversificazione del business della montagna con un coinvolgimento sempre più intenso del tessuto dei centri in rete sul territorio. Ce lo ha dimostrato l’assalto che abbiamo visto nella fase Covid, ad impianti fermi, con centinaia di persone alla ricerca di natura, buon mangiare e benessere. Ma bisogna essere pronti ad accogliere queste nuove opportunità con servizi e strategie adeguate.

Infine la petizione consegnata in regione Lazio con 15.000 firme (luglio 2020) e oggi a quota 17.000 è stata rilanciata. Invitiamo tutti ad aderire perché ognuno di noi possa salvare il bosco della Vallonina.

www.change.org/p/regione-lazio-salviamo-terminillo-fermiamo-un-progetto-inutile-e-dannoso-notsm