Osservazioni alla bozza preliminare della Strategia Forestale Nazionale

Osservazioni alla bozza preliminare della Strategia Forestale Nazionale

Hanno aderito alle presenti osservazioni e considerazioni generali del GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane le associazioni: Unione Sindacale di Base – USB Nazionale;  Grig -Gruppo Intervento Giuridico; ISDE Italia – Medici per l’ambiente; Italia Nostra Toscana; Italia Nostra Abruzzo; Italia Nostra Friuli Venezia Giulia;  Italia Nostra Marche; Italia Nostra ABC Alleanza Bene Comune– La Rete;  ALTURA – Associazione per La Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro habitat; Codacons; Atto Primo: salute, ambiente e cultura; Comitato Tutela Alberi Bologna e Provincia; European Consumers; Forum Ambiente e Salute Lecce; Lipu Grosseto; Lupus in Fabula; Liberi Pensatori a Difesa della Natura; STAI-Stop Taglio Alberi Italia – Comitato Coordinamento Nazionale,; CISDAM (Centro Italiano Studi e Documentazione per gli Abeti Mediterranei); Ecoistituto Abruzzo; Mila Donnambiente; Le Majellane; Centro Parchi Internazionale.

  1. Prevale un indirizzo economico di sfruttamento estrattivo delle risorse primarie (particolarmente sensibile alla fornitura di biomassa per il settore energetico e di scarti per l’industria di derivati del legno), intendendo i sistemi forestali come infrastrutture produttive da mettere in rete per incrementare la produttività e la contabilizzazione di ricchezze pubbliche e collettive tramite la terziarizzazione del settore.

  2.  L’approccio ecologico dichiarato in realtà è riduzionista ed utilitarista, omette un’analisi sistemica naturalistica e rinuncia ad una visione sintropica secondo un inquadramento spazio temporale dei fenomeni, la cui realtà non è stata oggettivizzata in un contesto adeguatamente rappresentato, ma solo immaginata.

  3.  L’assimilazione della Gestione Forestale Sostenibile con la Gestione Attiva è impropria, viola la normativa internazionale. Essa è inoltre imprudente non essendo stata contemperata con l’introduzione di criteri di precauzione e di adeguate norme di salvaguardia che, specie nella prima fase, evitino applicazioni abnormi in danno dell’ambiente e degli ecosistemi con esposizione a rischio delle funzioni più nobili svolte dai sistemi forestali.

  4.  La effettiva partecipazione è impedita in quanto la proposta di SFN non indica in modo chiaro, trasparente e accessibile i presupposti e le reali priorità della medesima. In particolare mancano:
    a) dati certi di riferimento sulla reale consistenza del patrimonio forestale nazionale e sull’entità delle utilizzazioni e  sul loro andamento  nell’ultimo decennio;
    b) criteri distintivi tra sistemi artificiali e naturali ed i relativi fattori limitanti;
    c) metodologie e modelli di analisi  su cui valutare le ipotesi evolutive dei sistemi forestali;
    d) criteri e modalità qualitative e quantitative su cui bilanciare la composizione tra interessi contrapposti: di natura produttiva (estrattiva ovvero di sfruttamento delle risorse primarie) e di conservazione e tutela (fondamentali e garantiti dalla Costituzione e da normativa europea e internazionale);
    e) un ordine delle priorità di intervento tra le azioni e le modalità di ripartizione delle risorse in caso di carenza finanziaria;
    f) indicatori e  modalità di monitoraggio e valutazione per la verificare dell’andamento delle azioni e del raggiungimento degli obiettivi prefissati;
    g) apporti attribuibili a ciascun dicastero di un coordinamento preliminare in vista del concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministro dello Sviluppo Economico e dell’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano

  5.  Il Green Deal Europeo (GDE) è nella sostanza ignorato, la SFN è stata proposta senza  attendere le nuove strategie europee ivi preannunciate ed in particolare:
    a) la nuova strategia europea sulla Biodiversità, pubblicata in data 20 maggio 2020 che ha individuato gli obiettivi di ridurre l’impiego delle biomasse e di ampliare le aree protette;
    b) la nuova strategia forestale europea, prevista per il 2020; tutta la proposta di SFN è sviluppata sulla base della vecchia strategia forestale europea con evidente inefficienza e duplicazione di costi.

  6. Il quadro normativo di riferimento e le azioni ignorano la Legge n. 168 del 20 novembre 2017 “ Norme in materia di domini collettivi”.

  7.  La strategia nazionale per le aree interne (SNAI) non è considerata nelle valutazioni di coerenza e cordinamento.

  8.  Le Azioni tralasciano di evidenziare e valorizzare il ruolo fondamentale nel contesto attuale di crisi climatica:
    a) della silvicoltura intesa come ecologia applicata di ispirazione naturalistica e sistemica;
    b) del restauro forestale
    c) di aree di monitoraggio permanenti e costanti (rappresentative della diversità degli ecosistemi forestali e dei rispettivi stadi evolutivi per natura, origine e cause di disturbo, compresi quelli di neoformazione nelle aree incolte e abbandonate);
    d) di aree ad accrescimento naturale e indefinito;
    e) della necessità di distinguere tra aree produttive ed aree conservative, tra ecoservizi ed ecobenefici (non passibili di effettiva valutazione economica equivalente in quanto diretta emanazione biologica condizionante la vita sul pianeta Terra: assorbimento CO2, depurazione aria e acqua, mitigazione climatica, prevenzione dissesto idrogeologico, biodiversità e ciclo nutrienti). Gli ecobenefici dovrebbero pertanto essere:
    – destinatari della massima possibile protezione e tutela, di aiuti e incentivazione ai soggetti che ne curano la conservazione e rinnovazione;
    – sottratti alla disponibilità economica e finanziaria;
    –  inquadrati in una programmazione secondo una pianificazione per bacini idrografici (zonizzata e con riserva della metà dello spazio) su cui sviluppare gli ulteriori livelli; 
    f) del ruolo nel presidio del territorio della dimensione mesolocale, delle comunità intermedie naturali capaci di autorganizzazione dei domini collettivi e degli usi civici, specie nell’ambito agrosilvopastorale delle aree interne.
    g) Quanto precede dovrebbe essere inserito tra le priorità più urgenti da realizzare mediante azioni e sottoazioni specifiche e strumentali con accesso preferenziale alle fonti finanziarie.

  9. Appaiono travisate le competenze in materia di AIB ed il ruolo della Legge n. 353 del 30 novembre 2000,  Legge quadro in materia di incendi boschivi; non risulta alcun coordinamento con il Ministero degli Interni, il Ministero della Difesa e la Protezione Civile nella predisposizione della relativa azione specifica.

  10. Manca una reale analisi di copertura finanziaria (forse per la omessa sottoposizione della proposta ai competenti uffici di programmazione e pianificazione), le azioni sono pertanto un mero elenco irrealistico che mal cela istanze assistenzialistiche del settore industriale e la relativa  questua di Aiuti di Stato con sottovalutazione dei bisogni derivanti dalle priorità di natura conservazionistica.

  11. La proposta di SFN appare nella migliore delle ipotesi prematura,  la partecipazione mediante osservazioni dovrà essere rinnovata, per renderla effettiva e possibile, all’esito del concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministro dello Sviluppo Economico e dell’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, allorchè, si auspica, saranno state risolte le problematiche osservate.

CONSIDERAZIONI SUL DOCUMENTO “STRATEGIA FORESTALE NAZIONALE”

Documento superficiale, generico, inconcludente, a tratti contraddittorio, che contiene una elencazione, nella forma di buoni propositi, di tutti gli aspetti e delle tematiche di interesse del settore, per le quali vengono indicate le possibili azioni di miglioramento, avendo come riferimento a sostegno delle argomentazioni sviluppate, gli assunti del nuovo TUF. Non vengono individuati gli elementi concreti, lo stato di fatto in cui versa il settore forestale nazionale oggetto dell’analisi, quali sono i fattori che ne limitano lo sviluppo, le criticità e le minacce che lo insidiano, con i relativi livelli ponderali e i “possibili obiettivi” da raggiungere.

In allegato si riporta una scheda contenente un primo elenco delle osservazioni e delle contraddizioni più evidenti riscontrate.

Nel testo del documento presentato, vengono richiamati come elementi di riferimento ai fini della definizione della nuova S.F.N. leggi nazionali, regolamenti e accordi internazionali. Si riporta, come fattore di criticità, una sorta di protagonismo attivo che sarebbe manifestato dalle foreste nell’espandersi sul territorio abbandonato. Ciò è in linea con la narrazione diffusa in ogni occasione sui media dai principali portatori d’interesse del settore sull’argomento, secondo cui se nel nostro Paese manca la manutenzione del territorio e aumenta il dissesto, se i terreni abbandonati vengono colonizzati dal bosco e gli incendi boschivi imperversano, la causa viene derubricata e associata al processo ineluttabile ormai secolare di abbandono delle aree interne e all’invadenza del bosco non gestito.

D’altronde, la bozza di documento per l’elaborazione della nuova Strategia Forestale Nazionale della SFN, prodotta con il metodo dell’analisi SWAT, con queste premesse e in assenza di un esame approfondito e completo dei fattori limitanti interni al sistema, non poteva avere esito diverso.

Evidentemente, la soluzione dei problemi del settore forestale del nostro paese, non può essere data dalla semplice eliminazione dei boschi di neoformazione o dei rimboschimenti e rimessa a coltura del terreno con risorse pubbliche e con il ricavato della vendita del legname prodotto. Né tantomeno è una soluzione la semplice prospettazione acritica di tutte le iniziative e miglioramenti che teoricamente si potrebbero realizzare.  Occorre, in merito, l’analisi e la rimozione delle cause socio economiche ancora in atto che non solo non hanno contrastato il processo di abbandono dei territori marginali e montani, ma anzi l’hanno aggravato ulteriormente, e questo è un tema molto più serio e difficile da affrontare. 

In realtà, il vero fattore di criticità del settore forestale in Italia, è costituito dalle politiche e dalla gestione adottate dal sistema Paese negli ultimi 50 anni, appannaggio praticamente esclusivo delle Regioni dagli inizi degli anni settanta del secolo scorso, con le competenze statali dirette residuali, di controllo e coordinamento nel campo produttivo, pressoché nulle, in capo ad un dipartimento del MIPAAF. Nell’ultimo governo tale materia era addirittura stata collocata presso la Direzione Turismo del Ministero, a riprova della sua scarsa importanza, mentre, per la restante parte, competenze sono ripartite fra Ministero dell’Ambiente (natura, ambiente, dissesto idrogeologico) e MIBACT (paesaggio).

Di certo, questa grave lacuna nell’analisi, non può essere imputata ad un’improvvisa amnesia che ha pervaso le menti degli estensori del documento, ma è una patologia persistente, dal momento che si ritrova anche nel nuovo Testo Unico Forestale.  Tale lacuna peraltro è di origine non “recente”, se si considera che anche la precedente SFN che risale all’anno 2000, non conteneva traccia alcuna delle predette criticità, a riprova del fatto che i problemi del settore sono di lunga durata, si sono incancreniti nel tempo e hanno origine nel fatto che il “sistema forestale nazionale” è pubblico per intero. Se queste criticità effettive non vengono in alcuna maniera rilevate è perché i tavoli che hanno partorito sia la bozza del nuovo SFN che quella del Testo Unico Forestale, sono organizzati e composti sempre dallo Stato e dalle Regioni, con i principali partner o stakeholder chiamati alla concertazione, legati in maniera più o meno diretta agli attori che governano il settore, attraverso consulenze, commesse, affidamento di studi e indagini, nomine, partecipazione a commissioni, ecc.. o, come nel caso delle organizzazioni di categoria, per legittimi interessi lobbystici (trattamenti di favore per il consumo delle biomasse, nel settore di stufe, caldaie e impianti di medie e grandi dimensioni, riduzione di vincoli per il taglio dei boschi, gestione diretta per conto della proprietà pubblica dei demani regionali o per conto delle Regioni di attività istituzionali, ecc.).

Ma entriamo nel merito della questione: ogni regione ha una sua legge forestale, che stabilisce turni e periodi di taglio dei boschi, modalità e regole di gestione, dispone di un proprio servizio forestale interno che sovrintende alle autorizzazioni, elabora in autonomia un proprio piano forestale regionale e misure di finanziamento e miglioramento del settore forestale attraverso il PSR;  organizza e gestisce altresì in esclusiva la lotta attiva agli incendi boschivi, le attività vivaistiche e di produzione certificata di seme e delle piantine. Le stesse Regioni normano e gestiscono il settore della protezione della natura, la rete naturalistica e di protezione ambientale europea (VIA, VINCA e VAS) nel territorio e la gestione della fauna selvatica, tutti aspetti che hanno forti correlazioni con le foreste.

Se ci soffermiamo al solo settore forestale, le regioni presentano caratteri e situazioni a dir poco disomogenee, a tratti schizofreniche al loro interno: se tralasciamo gli aspetti squisitamente selvicolturali (difformità fra turni per le stesse specie e tipi di bosco, rilascio di matricine, ecc.) di per sé per certi versi paradossali, in alcune Regioni si taglia solo se c’è un piano di gestione forestale approvato, in altre i piani di  gestione non ci sono proprio e si taglia senza remora alcuna (in Abruzzo ce ne sono solo 4 approvati su 325 comuni).

In alcune Regioni il servizio autorizzativo è gestito direttamente a livello provinciale, in altre il ruolo è affidato alle CM o alle UCM, in altre ancora il servizio è stato soppresso e affidato ad entità autonome fra loro, che si occupano contestualmente della monta bovina o delle domande di contributo per i seminativi. In alcune regioni il servizio forestale è costituito in gran parte da diverse decine di laureati in scienze forestali, in altre nell’intero organigramma regionale c’è un solo laureato in scienze forestali e le istruttorie per l’autorizzazione dei progetti di taglio vengono eseguite da geometri, periti agrari o agronomi che non hanno nessuna competenza in materia, con dirigenti laureati in economia e commercio. In alcune Regioni, fino a 10 ha per il ceduo e 5 ha per la fustaia, si possono fare tagli previa dichiarazione, senza un progetto, una direzione dei lavori e senza alcuna segnatura o “martellata” delle piante che cadono al taglio, mentre in altre a partire da 1 ha, c’è bisogno obbligatoriamente di un progetto firmato da un tecnico abilitato, che deve curare la direzione lavori e deve segnare preventivamente le piante o allegare il piè di lista di martellata al progetto, anche se poi a istruire il progetto è un geometra o un agronomo senza competenza alcuna del settore. I sopralluoghi in bosco per l’istruttoria dei progetti di taglio, sono quasi inesistenti, a causa della cronica penuria di risorse per il carburante o per mancanza o obsolescenza dei mezzi. I controlli durante e dopo la realizzazione degli interventi sono praticamente inesistenti. Non è nemmeno il caso di parlare della verifica delle produzioni effettivamente ricavate o dell’esito dei lavori, con i danni ai soprassuoli o alle piste causati dalle imprese di taglio, verifiche praticamente inesistenti.    Gli unici controlli sono quelli esercitati dai comandi dei Carabinieri forestali attraverso le attività di sorveglianza svolte sul territorio, i quali però quasi mai dispongono di copia dei progetti o delle comunicazioni di taglio presentati alle regioni e che quindi, ad eccezione di situazioni eclatanti, hanno scarsa incidenza.

In alcune regioni sono state costituite agenzie regionali che talvolta dispongono anche di diverse  migliaia di dipendenti, alle quali è affidata la gestione del patrimonio pubblico forestale, svolgono le attività di manutenzione del territorio direttamente, insieme alle attività di antincendio boschivo, per le quali magari hanno anche una dotazione di mezzi aerei antincendio, gestiscono la produzione certificata di seme e l’attività vivaistica, il tutto magari con un indice di boscosità del territorio ridotto, mentre altre regioni, con un indice di boscosità elevato, affidano in gestione il patrimonio forestale regionale alle Unioni dei Comuni o ai singoli Comuni che li affidano a consorzi o cooperative private del territorio. Altre regioni ancora affidano invece la gestione del demanio forestale ai Carabinieri, non hanno personale che svolge attività di manutenzione forestale, non producono piantine per i rimboschimenti, hanno i vivai regionali chiusi, a dispetto della stessa legge regionale che obbliga per i nuovi impianti di rimboschimento ad utilizzare solo materiale di provenienza regionale certificato dalla stessa regione, gestiscono le attività antincendio esclusivamente attraverso volontari e non hanno uno straccio di mezzo aereo antincendio. Sempre riguardo agli aspetti di antincendio boschivo, ci sono alcune regioni che per i sette anni dell’ultimo PSR hanno investito per la sola misura relativa alla prevenzione degli incendi boschivi la miseria di 3 milioni di euro per l’intero territorio, senza spenderne ad oggi nemmeno uno, mentre altre per la stessa misura ne hanno investiti quasi venti volte di più e li hanno anche in gran parte spesi.

La stessa pianificazione forestale regionale in alcune regioni ad oggi non è mai stata realizzata, preferendo, forse a motivo della maggiore discrezionalità che questa condizione consente, autorizzare volta per volta gli interventi a carico dei boschi. La pianificazione in generale nelle regioni suscita allergia: si pensi alla pianificazione e programmazione annuale delle attività di manutenzione e prevenzione delle alluvioni e del dissesto idrogeologico in capo alle regioni, che il governo ha dovuto commissariare a causa della cronica incapacità delle stesse ad assolvere per tempo ai loro obblighi. Tanto per cambiare, il Commissario individuato dal governo è lo stesso presidente della regione chiamato a risolvere le inadempienze prodotte dalla regione da lui stesso amministrata.

Come si è già detto, di questa situazione e di questi problemi, nella bozza della nuova Strategia Forestale Nazionale, come anche nel Testo Unico Forestale non c’è traccia; anzi, nella norma introdotta di recente l’intero sistema di programmazione e pianificazione forestale resta uguale a quello preesistente, dove è previsto che le Regioni “..adottano Programmi forestali regionali. .. possono predisporrepiani forestali di indirizzo territoriale, finalizzati all’individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale”. Praticamente, a fronte di obblighi e regole stringenti per i proprietari di boschi rispetto alla gestione della proprietà, le Regioni “possono predisporre..”, non hanno obblighi, anche se detengono il potere di “sostituzione diretta o di affidamento della gestione forestaledei privati, e di “conferimento delle superfici forestali ad altri soggetti qualificati.

Fra le storture e le criticità ulteriori, generate dalle “politiche di settore” fin qui adottate, sono da aggiungere: la situazione in cui versa il sistema delle imprese di utilizzazione forestale, la cronica mancanza di informazioni e di dati affidabili sulle reali caratteristiche e performance del settore e della filiera, la persistente e generalizzata crisi occupazionale delle aree interne e, da ultimo, la condizione del laureato in scienze forestali.

Nella gran parte delle regioni, forse con la sola esclusione di quelle dell’arco alpino, le imprese forestali sono caratterizzate da una sostanziale ridotta dimensione aziendale, operano in un sistema economico strutturalmente marginale, caratterizzato da scarsa formazione professionale, cronica carenza di manodopera qualificata nazionale, in larga parte rimpiazzata da operai extracomunitari, e si trovano a competere in un mercato che si regge in larga parte sugli interventi finanziati con risorse pubbliche, appannaggio preferenziale del sistema delle cooperative e dei consorzi privati che fungono da intermediari a titolo oneroso, nell’affidamento dei lavori alle imprese associate.

Al contempo, le attività selvicolturali e di cura del bosco non sono riconosciute fra le categorie di opere pubbliche previste dal sistema di qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici predisposto dalle camere di Commercio, che in questo caso prevede come sola categorie di opere, quella relativa alle “opere di ingegneria naturalistica” (OG13). A causa di ciò si assiste al paradosso per cui, solo alcune delle ditte che partecipano alle gare per i lavori forestali svolgono propriamente tale attività, rientrano nella “classificazione ATECO 2007” e nel contempo sono iscritte alla camera di commercio nella sezione “Silvicoltura e utilizzazioni aree forestali”, la gran parte di ditte che si occupano di altro, penalizzando fortemente le prime.

Questa situazione, di per sé critica, e della quale non c’è traccia nella bozza della nuova SFN, per le scelte previste dal nuovo TUF, che ha inserito come “titolo preferenziale ai fini della concessione in gestione … la partecipazione di imprese… aventi centro aziendale entro un raggio di 70 chilometri dalla superficie forestale oggetto di concessione” e il fatto che “le cooperative forestali e i loro consorzi sono equiparati agli imprenditori agricoli” , è destinata a peggiorare ulteriormente.

La stragrande maggioranza delle regioni non dispongono né tanto meno rilevano i dati sulle ditte che operano sul territorio, sui cantieri che vengono aperti, sui prezzi di mercato, sugli operai impiegati, sulla dimensione delle aziende, non esistono statistiche regionali su infortuni e morti, sul materiale legnoso realmente utilizzato e sul tipo di assortimenti lavorati, sulla domanda di materiale legnoso in quantità e qualità. È tutto un gran buco nero.

Un caso a parte è costituito dai laureati in scienze forestali, che a causa del sempre più basso livello di investimenti nel settore forestale pubblico e delle politiche regionali di deregulation della procedure autorizzative e della progettazione, vedono sempre più ridursi gli spazi esclusivi e le prerogative professionali nella progettazione e direzione lavori degli interventi di manutenzione e gestione di boschi, derubricati a semplici pratiche amministrative routinarie, a tutto vantaggio delle ditte boschive, degli agrotecnici e degli stessi consorzi di cooperative. Il tutto nella più assoluta indifferenza e miopia dei vertici degli ordini professionali di categoria.

A nostro avviso è indispensabile e non più procrastinabile armonizzare le normative e le strutture regionali fra loro, secondo una logica unitaria per uscire dalla più assoluta anarchia nella quale il settore versa.  Riteniamo altresì che, contestualmente, si debbano riorganizzare i servizi e gli uffici pubblici regionali del settore forestale sul territorio, che devono essere affidati a dirigenti e tecnici qualificati, sulla base di livelli omogenei e garantiti di gestione. La gestione del patrimonio forestale pubblico e dei boschi privati abbandonati di ogni tipo, beni collettivi di primaria rilevanza per la collettività, degli alvei dei fiumi, delle aree in frana e di tutti gli ambienti e aree sensibili ai fini della mitigazione del dissesto idrogeologico, delle piene dei corsi d’acqua e del contrasto agli incendi boschivi deve essere affidata ad agenzie multiservizi regionali pubbliche, dotate di strutture tecniche adeguate, che devono operare attraverso una programmazione annuale stabilita dalle Regioni.  A tali Agenzie devono essere affidati in gestione i demani silvopastorali e i vivai forestali regionali, nonchè compiti di provvedere alla manutenzione forestale e agli interventi nelle aree protette regionali, di porre in essere le attività operative antincendio di competenza delle Regioni e, ove ne ricorrano le condizioni, di gestire il patrimonio forestale costituito dai boschi privati abbandonati. Queste agenzie potrebbero provvedere alla manutenzione del verde lungo la viabilità provinciale, allo spazzamento della neve l’inverno, manutenere o realizzare le sistemazioni idraulico forestali, gestire il servizio di irrigazione agricola svolto attualmente dalla rete dei consorzi di irrigazione regionali con un contratto di servizio unitario a livello regionale che preveda la cessione dell’acqua agli agricoltori, a un prezzo politico, differenziato sulla base degli effettivi consumi e della redditività delle colture.

Solo queste entità pubbliche fornirebbero le necessarie garanzie sul corretto impiego delle risorse e beni pubblici e sulla gestione di boschi e terreni abbandonati nell’interesse esclusivo della collettività, nelle quali ricollocare e riorganizzare il personale delle soppresse comunità montane e dei consorzi di bonifica, al pari di quello attualmente impiegato per i servizi citati presso le strutture regionali e provinciali, ma nelle quali anche assumere e far lavorare stabilmente diverse centinaia di persone in ogni regione.

In questo contesto è indispensabile che la pubblica amministrazione, regioni e governo ritornino alla loro funzione istituzionale originaria, che non è quella produttiva finalizzata a massimizzare i ricavi immediati, magari svendendo il valore del patrimonio forestale fin qui accumulato e investito dallo Stato per migliorare la qualità del patrimonio forestale pubblico e nazionale, anche attraverso i finanziamenti erogati nei decenni.

La strategia forestale nazionale deve essere incentrata sulla massimizzazione delle diverse funzioni pubbliche assicurate dai boschi.

No alla proroga del taglio delle latifoglie: la Regione Piemonte danneggia le sue foreste tagliando gli alberi durante il periodo vegetativo

No alla proroga del taglio delle latifoglie: la Regione Piemonte danneggia le sue foreste tagliando gli alberi durante il periodo vegetativo

La Regione Piemonte ha posticipato la data di termine del taglio ai boschi di latifoglie, permettendo di tagliare a primavera ormai arrivata con gravi danni all’ecosistema. Protestano le associazioni.

Torino, 21 aprile 2020 – Le associazioni GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane e ISDE Italia – Medici per l’Ambiente protestano per la proroga del periodo di taglio delle latifoglie concessa dalla Regione Piemonte, che permette di proseguire il taglio dei boschi a ceduo nonostante la primavera sia ormai arrivata e sia incominciato il periodo vegetativo degli alberi e di nidificazione dell’avifauna. Una scelta politica che, per venire incontro alle richieste delle ditte di taglio boschivo, ignora i tempi dettati dalla Natura e la necessità di lasciare indisturbate le nostre foreste (già sfruttate in modo intensivo e insostenibile durante il resto dell’anno) nel periodo cui gli alberi riprendono la crescita e gli animali si riproducono.

I boschi di latifoglie governati a ceduo sono sottoposti a un tipo di taglio che consiste nel rimuovere il tronco dell’albero lasciando solo una ceppaia da cui nasceranno nuovi polloni: un sistema che sfrutta la capacità dell’albero di ricominciare a crescere anche dopo un evento traumatico. Affinché la pianta possa riprendersi dopo il taglio però sono necessarie alcune condizioni, e per questo motivo le norme forestali dettano in modo rigoroso i modi ed i tempi dell’utilizzazione del bosco governato a ceduo, stabilendo date differenti per i periodi di taglio a seconda dell’altitudine proprio per evitare che vengano tagliate piante già entrate nel periodo vegetativo.

Il taglio del ceduo è indicato quindi soltanto durante la stagione silvana, ovvero il periodo dell’anno in cui gli alberi non hanno le foglie e sono nella fase di riposo: in quel momento gran parte delle riserve nutritive della pianta si trova ancora allocata nell’apparato radicale. Alla ripresa del periodo vegetativo, cioè quando all’arrivo della primavera l’albero ricomincia a mettere le foglie, le sostanze nutritive traslocano dalle radici alla parte aerea della pianta. Tagliare quando questo processo è già iniziato ha diverse e gravi ripercussioni sull’albero, in quanto causa uno squilibro energetico e un forte impoverimento del vigore vegetativo della pianta; provoca l’emissione di un maggior numero di polloni avventizi, che sono meno stabili meccanicamente e meno vitali fisiologicamente; e favorisce le patologie che possono attaccare la pianta, perché le ferite sulle ceppaie si ricoprono di uno strato di linfa zuccherina, ideale per la germinazione delle spore fungine. A queste problematiche se ne aggiungono altre collaterali che coinvolgono il bosco nel suo insieme, causate dalle operazioni di taglio, allestimento ed esbosco. Aumentano i rischi di danni alla corteccia e di altre lesioni al tronco anche negli alberi non tagliati, a causa delle sollecitazioni meccaniche; si interferisce pesantemente con il periodo di riproduzione di molte specie animali, che sempre più spesso avviene in anticipo a causa del cambiamento climatico; gli animali che vanno in letargo sottoterra sono già usciti e facilmente verranno uccisi durante le operazioni.

A causa del riscaldamento climatico si assiste sempre più spesso a un arrivo anticipato della stagione primaverile, con conseguente anticipo dell’entrata in vegetazione delle piante forestali e della ripresa di tutte le attività naturali dell’ecosistema forestale. Il fenomeno è stato particolarmente evidente questo inverno, che è stato il più caldo mai registrato, e con il passare degli anni il tema diventerà sempre più attuale e pressante.

Le associazioni invitano quindi la Regione Piemonte a rispettare i tempi dettati dalla natura, e a proteggere adeguatamente il patrimonio boschivo chiudendo la stagione di taglio prima dell’arrivo della primavera.

La strada nel Parco di Paneveggio è uno sfregio che mette a rischio il Gallo cedrone

La strada nel Parco di Paneveggio è uno sfregio che mette a rischio il Gallo cedrone

Trento, 14 maggio 2020 – Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane chiede che venga immediatamente fermata la realizzazione di una strada a elevatissima incompatibilità ambientale e paesaggistica nel Parco di Paneveggio, per scongiurare uno sfregio severo e persistente alla natura in un’area protetta, habitat del Gallo Cedrone.

Nel Parco Naturale di Paneveggio, in provincia di Trento, in piena area protetta, in zona classificata sia come ZSC (Zona Speciale di Conservazione) sia come ZPS (Zona di Protezione Speciale ai sensi della direttiva europea “Habitat” e ricadente per intero nella disciplina dei vincoli europei della rete Natura 2000) è in via di realizzazione una strada forestale camionabile che, se continuata, devasterà un ambiente forestale di pregio sopravvissuto alla tempesta Vaia, e porterà degrado e disturbo permanente in uno degli ultimi habitat in cui sopravvive il Gallo cedrone (Tetrao urogallus Linnaeus, 1758), specie di tetraonide pregiata e protetta. L’Associazione scientifica GUFI tiene a ricordare che il gallo cedrone è anche un indicatore biologico per eccellenza, perché con la sua presenza testimonia le buone condizioni ecologiche del soprassuolo forestale del piano montano superiore e di quello sub-alpino inferiore delle Alpi. È altresì una cosiddetta “specie ombrello” in quanto la sua esistenza è legata alla possibilità di disporre di vaste superfici indisturbate e non frammentate, necessarie per la propria autoecologia.

È inoltre specie emblema e simbolo del Parco, ma dal momento che è in costante e preoccupante diminuzione nel lungo termine è considerata “vulnerabile” (VU, in quanto ad alto rischio di estinzione in natura nel prossimo futuro), secondo la Lista Rossa degli Uccelli nidificanti in Italia (2012) e secondo quella trentina (Pedrini et al., 2005). Per questo motivo il gallo cedrone ha varie disposizioni di tutela giuridica: è inserito nell’allegato III della Convenzione di Berna; è inserito negli Allegati I e II della Direttiva Uccelli (2009/147/CE), che lo elenca tra le specie per la cui protezione sono previste misure speciali di conservazione degli habitat in cui vive; a livello nazionale è protetto dalla Legge 157/92, “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, che ne esclude la caccia; a livello trentino è specie protetta dalla Legge provinciale 24/1991, “Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia”, che pone il gallo cedrone tra le specie non cacciabili.

La strada camionabile di cui è appena iniziata la costruzione dovrebbe dispiegarsi per circa quattro chilometri abbattendo alberi della foresta tra Fiera e San Martino di Castrozza, e dovrebbe unire Malga Crel, a quota 1577 metri, alla Malga Scanaiol a quota 1745 metri. Il tracciato in cui è previsto il disboscamento per far posto all’arteria stradale costituisce attualmente, per il disturbo antropico ridottissimo, un habitat residuo ideale per il gallo cedrone, che ha reso questo luogo prezioso una straordinaria arena di canto con oltre dieci galli a 1700 metri di quota. I posti con tali caratteristiche sono ormai molto rari sulle Alpi Orientali, e la frammentazione che verrebbe apportata dalla strada e il disturbo conseguente e reiterato nel tempo causato dal traffico anche turistico, oltre a danneggiare severamente la foresta, sarebbe fatale per la colonia di Gallo cedrone.

Si andrebbe, inoltre, a portare degrado ed artificializzazione in un angolo di foresta sopravvissuto alla violenza della tempesta Vaia, come se il Trentino avesse bisogno di ulteriori sciagure ambientali.

Il Parco di Paneveggio Pale di San Martino include al suo interno una porzione consistente delle aree che costituiscono il territorio delle Dolomiti Patrimonio Unesco, e Il Parco naturale di Paneveggio è socio Sostenitore della Fondazione Dolomiti UNESCO, il soggetto che ha la responsabilità della gestione del Patrimonio e l’obbiettivo di promuoverne la conoscenza e la valorizzazione.

Anche dal punto squisitamente culturale, la qualifica di Patrimonio UNESCO richiama il collegamento con Cremona, insignita di analoga attribuzione in quanto storicamente patria della liuteria di assoluta eccellenza a livello mondiale. Questa infatti è basata sull’impiego del legno di Paneveggio Pale di San Martino e tali riconoscimenti rappresentano per l’Italia, nella sua collocazione mondiale, un connubio virtuoso e nobile nella pratica e nell’immaginario, tra patrimonio naturale e patrimonio artistico-storico-culturale.

Per autorizzare un progetto simile, in passato bocciato fermamente dal Parco, è accaduto che l’Ufficio Distrettuale Forestale del Primiero, in sede di revisione del piano di assestamento forestale aziendale dell’ex Comune di Fiera di Primiero per il periodo 2015-2024, abbia invocato la legislazione in deroga del post-Vaia. Ciò per riproporre il collegamento stradale tra malga Crel e malga Scanaiol, evitando persino di sottoporre il progetto a VINCA, valutazione d’incidenza ambientale, obbligatoria per la disciplina europea in materia di SIC, in mancanza della quale si incorre nell’avvio di procedimenti di infrazione comunitaria dagli esiti potenzialmente assai onerosi.

Il GUFI ritiene illegittimo il ricorso alla legislazione straordinaria invocata per superare l’incompatibilità giuridica gravante a regime di vincolo sull’area e sull’habitat del gallo cedrone, in quanto detta legislazione speciale può essere valida soltanto per consentire l’accesso alle aree boschive danneggiate dall’evento meteorologico eccezionale. Al contrario, la strada in oggetto risulta avere tali caratteristiche solo per poche centinaia di metri iniziali dopo Malga Crel, mentre per il resto del tracciato di progetto le aree con alberi schiantati sono o assenti o del tutto marginali. Risulta che queste considerazioni siano state sollevate in passato anche dall’Ente Parco a motivo del diniego per un’opera così tanto impattante, ma poi all’improvviso le cose sono cambiate.

È accaduto che la giunta esecutiva, organo di amministrazione del Parco, il 17 gennaio 2020, con 4 voti a favore e un astenuto, ha dichiarato la propria incompetenza, ritenendo di “non esprimere, in questa fase emergenziale e straordinaria, alcun parere in merito al piano di gestione forestale aziendale dell’ex Comune di Fiera di Primiero per il periodo 2015-2024, in quanto una parte sostanziale di tale piano contiene la previsione di interventi sia selvicolturali sia infrastrutturali da eseguirsi in emergenza, nell’ambito di quanto stabilito dall’Ordinanza di Protezione Civile provinciale n. 787288 del 28/12/2018 e relativo Piano d’Azione, definiti sulla base quindi di una situazione di emergenza e di atti sovraordinati che esulano dalla ordinaria pianificazione e di conseguenza dall’ambito entro il quale questo Ente deve esprimere il proprio parere ai sensi degli articoli 39 e 57 della legge provinciale 23 maggio 2007, n. 11”.

Si ritiene che la posizione assunta dall’amministrazione dell’area naturale protetta sia priva di fondamento: le ordinanze della Protezione Civile sono finalizzate agli interventi urgenti, indifferibili, legati all’emergenza, non altrimenti affrontabili nell’ordinaria amministrazione e nel quadro normativo vigente. Tali ordinanze riguardano quindi fattispecie eccezionali e non sono certo finalizzate alla realizzazione di opere stabili, non di servizio né tantomeno provvisorie, ordinarie e al di fuori delle operazioni emergenziali. Un’interpretazione fallace in questo senso è oggettivamente volta al solo scopo di aggirare il quadro normativo esistente a livello provinciale, statale ed europeo, e per giunta dopo che tale progetto era stato respinto ripetutamente e motivatamente dallo stesso Ente Parco.

Si sottolinea l’assurda situazione che rischia di verificarsi, per cui in una zona in cui parte della foresta è stata devastata dalla tempesta Vaia, con le ordinanze conseguenti della Protezione Civile, si prevede lo scempio ulteriore della parte di foresta a Paneveggio che era stata scarsamente interessata dalla tempesta e si era sostanzialmente salvata. Lo sfregio questa volta deliberato, prevedibile ed evitabile, eseguito sotto lo scudo della Protezione Civile, sarebbe però permanente, trattandosi di una strada che provoca consumo irreversibile di suolo, frammentazione e disturbo di habitat pregiati di alta quota, che – secondo la letteratura scientifica e secondo le stesse pubblicazioni del Parco – sono in cima alle cause del rischio di estinzione del gallo cedrone.

La sventurata noncuranza degli aspetti basilari ecologici ed ambientali che caratterizza quanto sta accadendo, addirittura in un’area naturale protetta, è testimoniata anche da fatto, aggravante e veramente inammissibile, che i lavori sono iniziati in periodo di riproduzione della fauna in generale e in particolare proprio nel periodo più critico per il gallo cedrone. Si richiama, per tutte le numerose prese di posizione del mondo scientifico in materia di protezione di questa specie, il convegno organizzato dal Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino l’11 ottobre 2011, proprio sull’aspetto riproduttivo del tetraonide durante il quale la professoressa Storch ha, tra l’altro, fornito alcune raccomandazioni accorate di carattere generale in tema di gestione. Si tratta, ha sostenuto, di evitare soprattutto il disturbo durante il periodo della cova e dell’allevamento dei pulli, perché i piccoli di gallo cedrone sono molto vulnerabili. In particolare, fra gli aspetti concreti, ha suggerito di non prevedere utilizzazioni forestali in tali periodi e di attuare misure di contenimento di altre forme di disturbo antropico.

Si richiama a riguardo l’art. 5 della direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica, esecutiva in Italia con la legge n. 157/1992 e s.m.i., che comporta in favore di “tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri” (art. 1 della direttiva) “il divieto: a) di ucciderli o di catturarli deliberatamente con qualsiasi metodo; b) di distruggere o di danneggiare deliberatamente i nidi e le uova e di asportare i nidi; d) di disturbarli deliberatamente in particolare durante il periodo di riproduzione e di dipendenza quando ciò abbia conseguenze significative in considerazione degli obiettivi della presente direttiva. Il disturbo/danneggiamento/uccisione delle specie avifaunistiche in periodo della nidificazione può integrare eventuali estremi di reato (artt. 544 ter cod. pen., 30, comma 1°, lettera h, della legge n. 157/1992 e s.m.i.) o violazioni di carattere amministrativo (art. 31 della legge n. 157/1992 e s.m.i.).
Il GUFI chiede pertanto di riconsiderare le autorizzazioni date, di interrompere immediatamente i lavori, che venga disposto il ripristino, per quanto possibile, dello stato ex ante dei luoghi finora interessati dal cantiere e di non procedere ulteriormente alla realizzazione di un’opera di tale impatto ambientale, portata all’attuazione con procedure ingiustificate ed ingiustificabili extra ordinem, che potrebbero configurarsi come abusi ed essere forieri di danno ambientale ex art. 18 della legge 349/86 nonché di severi provvedimenti dell’Unione Europea.

Si riserva pertanto ogni iniziativa legale consentita dall’ordinamento, in sede nazionale ed europea, qualora l’intervento dovesse essere portato a compimento, e si incoraggia la popolazione trentina a far sentire la propria voce con le istituzioni responsabili in difesa del loro prezioso patrimonio naturale.

Lettera alla RAI: difendiamo le foreste dalle fake news

Lettera alla RAI: difendiamo le foreste dalle fake news

A seguito di due scandalosi servizi andati in onda sul TG1 e sul TG3 Regione Toscana, dove i boschi venivano equiparati a campi da coltivare, il GUFI – in coro con molte altre associazioni – ha inviato alla RAI la seguente lettera.

Il bosco non ha bisogno dell’uomo, è l’uomo che ha bisogno del bosco
Le associazioni firmatarie protestano per un approfondimento andato in onda sul TG1 sul tema della selvicoltura. La RAI è un servizio pubblico e non dovrebbe dare spazio ad affermazioni antiscientifiche: sostenere che le foreste abbiano bisogno di manutenzione è un’assurdità.

Roma, 20 aprile 2020 – Le associazioni promotrici GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, ISDE Italia – Medici per l’ambiente, Italia Nostra Abruzzo, Italia Nostra Friuli Venezia Giulia, Italia Nostra Lazio, Italia Nostra Marche, Italia Nostra Toscana, Italia Nostra Veneto, ALTURA – Associazione per la Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro Ambienti, insieme alle altre associazioni firmatarie, manifestano sconcerto per le affermazioni antiscientifiche alle quali il servizio pubblico RAI ha dato spazio nel servizio andato in onda il 14 aprile sul TG1, in cui alcuni operatori addetti al taglio boschivo (quindi non scienziati) hanno fatto una serie di affermazioni false, sostenendo che per la salute dei boschi sia indispensabile una manutenzione costante. Addirittura viene sostenuto che il bosco avrebbe bisogno, per rimanere in salute, dell’intervento regolare dell’uomo che tagli gli alberi più vecchi per lasciare posto ai giovani, lasciando intendere che un bosco dove non si tagliano alberi non sarebbe in grado di rigenerarsi e finirebbe per morire. Nel servizio si lamenta che i nostri boschi, a causa della quarantena, sarebbero rimasti senza “manutenzione” per un mese, affermando che il bosco non sia diverso da un “campo ordinario” e vada quindi “coltivato”.

Le associazioni ricordano che le prime foreste sono comparse sul nostro pianeta circa 350-400 milioni di anni fa. L’essere umano (inteso come Homo sapiens) vive sulla Terra da poco più di 200mila anni. È quindi lapalissiano che le foreste si siano evolute e siano sopravvissute per centinaia di milioni di anni senza alcun intervento da parte dell’uomo, e hanno invece prosperato e coperto gran parte delle terre emerse. Chiunque abbia avuto l’ormai raro privilegio di camminare in una foresta vetusta, antica e poco disturbata dalla mano dell’uomo, capisce intuitivamente quanto sia arrogante e antropocentrico pensare che ecosistemi così complessi e ricchi di biodiversità, frutto di milioni di anni d’evoluzione, possano avere bisogno dell’intervento costante dell’ultima specie arrivata per prosperare.

Il bosco è un ecosistema, e come tutti gli ecosistemi è autosufficiente e attraverso complesse relazioni tra piante, animali, funghi e batteri che vivono al suo interno crea un equilibrio perfetto dove ogni suo abitante trova riparo, nutrimento e ciò che occorre alla sopravvivenza della sua specie. L’uomo non fa eccezione: anche noi abbiamo bisogno del bosco per trarne ciò che ci serve per vivere. La differenza sta nel fatto che l’uomo non si ferma dopo aver prelevato il necessario: supportato dalla tecnologia e spinto da interessi economici ha un potenziale distruttivo sconosciuto alle altre specie e può alterare l’equilibrio di un ecosistema, anche fino alla sua scomparsa.

In un momento in cui l’opinione pubblica – per merito del costante lavoro degli scienziati e della voce dei nostri giovani che si alza dalle piazze – comincia a prendere coscienza dell’impatto umano sul pianeta, è grave che il servizio pubblico televisivo dia spazio solo a chi i boschi li taglia per profitto: il conflitto di interesse è evidente. Se è vero che l’uomo ha bisogno di prelevare del legname per le sue necessità, questo dimostra solo che siamo noi a essere dipendenti dalle foreste, e non certo il contrario: una dipendenza di cui dobbiamo tenere conto nel momento in cui decidiamo quanto e cosa tagliare. Le foreste, oltre a costituire la nostra migliore arma nella lotta al cambiamento climatico, sono fondamentali per la salute umana. Come ricorda il WWF in un comunicato del mese scorso, la deforestazione e la perdita di habitat sono tra i fattori più rilevanti nella nascita delle pandemie.

È quindi giunto il momento di sgombrare definitivamente il campo dalle fake news diffuse da chi vede i boschi solo con gli occhi del profitto economico, e porre fine allo sfruttamento intensivo (quella che viene chiamata “manutenzione”) che vede i boschi italiani sempre più sotto pressione a beneficio della produzione di energia elettrica da biomasse forestali, mentre la produzione di mobili, invocata nel servizio, utilizza solo una piccola parte della produzione nazionale di legname. Se è vero che la mera superficie dei boschi italiani è in aumento, va ricordato che il punto di partenza da cui si calcola questo aumento è il minimo storico di superficie raggiunto nel secondo dopoguerra; che tutt’ora l’Italia si colloca al di sotto della media europea per percentuale di superficie boscata; che siamo sotto la media europea anche per quanto riguarda la percentuale di territorio protetto.

La “manutenzione” invocata dalle ditte che vendono legname è sovente una vera e propria devastazione che asporta il sottobosco e il legno morto – entrambi parte integrante dell’ecosistema foresta e indispensabili per la sopravvivenza di moltissime specie animali e vegetali – e taglia gli alberi più grandi, lasciando un terreno spoglio dove sparuti giovani alberi sono gli unici superstiti in una landa desolata. Per le statistiche nazionali sarà ancora una foresta, ma ridotta in quelle condizioni di fatto non lo è più. Un terreno così spogliato costituisce inoltre un grave rischio per la sicurezza idrogeologica.

Deve essere quindi chiaro all’opinione pubblica che la selvicoltura risponde a una necessità dell’uomo, come le automobili e l’estrazione di petrolio, ma NON è una necessità delle foreste; che nel prelevare il legname ci si deve porre al di sotto dei limiti di tolleranza (resilienza) della foresta stessa, dandole modo e tempo di rigenerarsi; che per la salute nostra e del pianeta è indispensabile che una parte rilevante del territorio sia protetta e lasciata alla sua evoluzione naturale, affinché la foresta possa fornire tutti quei benefici ecosistemici che non solo costituiscono un habitat per le altre specie, ma ci garantiscono aria e acqua pulite, prevengono il dissesto idrogeologico e ci aiutano a combattere il riscaldamento climatico, di cui una delle cause principali è proprio la deforestazione.

Le associazioni si augurano quindi che i media forniscano un’informazione corretta e supportata dalla scienza ai cittadini italiani e chiedono alla Rai di poter replicare al servizio andato in onda, mettendo a disposizione i loro scienziati per un’intervista.

Cordialmente,

le Associazioni
GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane; ISDE Italia – Medici per l’ambiente; Italia Nostra Abruzzo; Italia Nostra Friuli Venezia Giulia; Italia Nostra Lazio; Italia Nostra Marche; Italia Nostra Puglia; Italia Nostra Toscana; Italia Nostra Veneto; ALTURA – Associazione per la Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro Ambienti; Navdanya International; Amici del Cansiglio; ABC Associazione beni comuni La Rete; Acqua Bene Comune Pistoia; ADA ONLUS Associazione Donne Ambientaliste; Alleanza Beni Comuni Pistoia; AsOER – Associazione degli Ornitologi dell’Emilia-Romagna ODV; Associazione culturale AmbienteScienze; Associazione Culturale Blow-up; Associazione Mani Libere Civitanova Marche; Associazione Solidarietà e Partecipazione – Castrovillari; Biodistretto Montalbano; Casacomune Scuola e Azioni; Centro Parchi Internazionale; CISDAM – Centro Italiano Studi e Documentazione sugli Abeti mediterranei; Co.n.al.pa. Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio Onlus; Comitato Intercomunale Silla2; Comitato per il Bene Comune Sovizzo; Diritto Diretto Onlus; Ecoistituto Abruzzo; Ecoistituto Cesena; Ecomuseo Montagna Fiorentina; European Consumers; Goodland; Federazione Nazionale ProNatura; Forum Ambientalista; GPSO – Gruppo Piemontese Studi Ornitologici “F.A. Bonelli” Onlus; GriG – Gruppo d’intervento Giuridico; Gruppo dei Trenta; Gruppo Promotore Parco del Cadore; Insilva; Io non ho paura del lupo; Istituto Italiano di Permacultura; La Cabalesta – Associazione Terra Boschi Gente e Memorie; LAC (Lega per l’Abolizione della Caccia); Le Giardiniere; Liberi Pensatori a Difesa della Natura; LIPU Abruzzo; LIPU Firenze; LIPU Grosseto; LIPU Pistoia; Lupus In Fabula; Mamme No Inceneritore (Firenze); Mamme per la Salute e l’Ambiente Onlus; Marevivo Abruzzo; MEDIPERlab Permacultura Mediterranea; Mila Donnambiente; Mountain Wilderness International; Movimento Tutela Alberi Firenze; Pro-Rights; RAMI – Registro degli Alberi Monumentali Italiani; Rewilding Apennines; Salviamo L’Orso ONLUS; SIMEF – Società Italiana di Medicina Forestale; Smilax Nova; Società Italiana per la Storia della Fauna; STAI-Stop Taglio Alberi Italia; Stop 5G Castel di Lama; Stop 5G Civitanova Marche; Stop 5G Marche; Terra Nuova Edizioni; Unione Bolognese Naturalisti; UNI-VERSO Amiata; VAS – Vita Ambiente e Salute ONLUS (Firenze); WWF Toscana; WWF Emilia-Romagna

I dati sulla superficie forestale media dell’Unione Europea sono presi dal sito del Parlamento Europeo e sono consultabili a questo link: https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/105/l-unione-europea-e-le-foreste

Taglialegna #stateacasa: l’assalto ai boschi italiani continua persino durante la quarantena

Taglialegna #stateacasa: l’assalto ai boschi italiani continua persino durante la quarantena

ISDE Italia – Medici per l’Ambiente e GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane chiedono alle istituzioni di non autorizzare la ripresa dei tagli boschivi, un’attività che nel caso delle latifoglie è anche fuori tempo massimo: è ormai primavera e i tagli nei boschi di latifoglie sono vietati per consentire alle piante il periodo vegetativo. Aperta una petizione su Change.org.

Roma, aprile 2020 – GUFI e ISDE chiedono alle istituzioni di non accogliere la richiesta avanzata da CONAIBO (Coordinamento nazionale delle imprese boschive), AIEL (Associazione italiana energie agroforestali), Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) e alcuni Comuni montani di riaprire le attività di taglio degli alberi in deroga alla quarantena, e hanno aperto una petizione sul sito Change.org per chiedere il sostegno dei cittadini che hanno a cuore l’ambiente e la salute pubblica.

Le attività forestali sono infatti ferme in quanto considerate non necessarie, e nel momento in cui l’Italia ripartirà sarà concesso solo, fino al prossimo inverno, il taglio dei boschi di conifere. Questo perché nei boschi di latifoglie (querce, faggi, carpini…) non è concessa l’attività di taglio durante il periodo vegetativo, cioè quando le piante hanno già messo le foglie. Tagliare le latifoglie in primavera, tramite la tecnica del ceduo che rimuove il tronco dell’albero lasciando solo un ceppo da cui nascono nuovi polloni, le danneggerebbe gravemente con evidenti ricadute sugli ecosistemi. Il taglio delle foreste di conifere (pini, abeti) è invece concesso tutto l’anno, perché nel loro caso la tecnica del ceduo non si può utilizzare e la riproduzione avviene unicamente tramite seme.

Le associazioni dei tagliatori non stanno quindi chiedendo solo di violare la quarantena a cui sono sottoposte tutte le altre aziende, ma anche di poter violare la legge che protegge i boschi di latifoglie, tagliando a primavera ormai giunta: quest’anno, infatti, la stagione risulta particolarmente anticipata, a seguito di quello che è stato l’inverno più caldo di sempre in Europa (3,4 gradi in più rispetto alla media del periodo).

Perché questo accanimento?

È importante ricordare che in Italia è in corso da anni un vero e proprio assalto alle foreste, viste non come bene prezioso per il pianeta, per la salute dei cittadini e come arma contro il riscaldamento globale, ma unicamente come fonte di energia. Il proliferare in Italia di centrali a biomassa, che bruciano legno per produrre energia elettrica, ha scatenato una vera e propria corsa al taglio. Le nostre foreste, che per mera superficie sono in aumento, vengono gravemente impoverite e compromesse da continui tagli che interessano gli alberi più grandi: un diradamento che, se lascia intatta la superficie della foresta, di fatto la spoglia quasi completamente riducendola a pochi alberi giovani e sottili, distanti tra loro. Una devastazione evidentissima anche a un occhio non esperto (si allega foto di una foresta governata a ceduo).
GUFI e ISDE ricordano che bruciare il legno provoca maggiori emissioni di CO2 e di polveri sottili persino rispetto all’utilizzo dei combustibili fossili, con ricadute drammatiche in termini di contrasto al cambiamento climatico e di impatto sulla salute. Le biomasse forestali non possono essere considerate una fonte rinnovabile di energia: anche piantando un albero in sostituzione di quello tagliato, questo impiegherà anche un secolo ad assorbire le emissioni di quello abbattuto, sempre ammesso che non venga tagliato prima – un lasso di tempo che non ci è concesso prenderci nella lotta al riscaldamento globale e per la conservazione della biodiversità. Non a caso, due anni fa ben 784 scienziati hanno scritto al Parlamento Europeo per segnalare che usare legna come combustibile accelererà il cambiamento climatico, mentre sempre più studi rivelano l’importanza delle foreste mature e intatte nella lotta al riscaldamento globale. Inoltre, come evidenziato da un comunicato stampa del WWF a marzo, esiste uno strettissimo legame tra pandemie e danni all’ecosistema.

La richiesta delle associazioni dei taglialegna di riprendere le attività in violazione della quarantena e addirittura di prolungare il taglio delle latifoglie anche durante il periodo primaverile è causato dal desiderio di placare la fame insaziabile delle centrali a biomassa, per le quali il solo legno di conifera tagliato al termine della quarantena parrebbe non sufficiente. Eppure, come fatto notare dagli stessi promotori della richiesta di deroga alla quarantena, rimangono a terra milioni di tronchi schiantati dalla tempesta Vaia, che stanno venendo acquistati da imprese austriache proprio per produrre legna da ardere. Il recupero del legno schiantato dalla tempesta (che giace lì da moltissimi mesi, quindi non si comprende l’urgenza) può essere autorizzato con un provvedimento ad hoc, senza riprendere i tagli su tutto il territorio nazionale. Trattandosi di conifere, inoltre, il prelievo di questi alberi potrà riprendere immediatamente dopo la fine della quarantena, anche se andrà fatto con oculatezza per evitare l’erosione del terreno e il conseguente rischio idrogeologico.

Non vi è inoltre alcun rischio di esaurimento a breve termine delle scorte di legno, dato che quelle per il prossimo inverno sono già state approntate e non sarà eventuale legna raccolta ora, ancora verde, ad aumentarle. Inoltre in questo momento sono chiusi alberghi di montagna, ristoranti, rifugi, pizzerie ed altri esercizi che fanno grande consumo di legna da ardere: il fabbisogno di legna nell’ultimo mese è crollato.

Le imprese e le loro associazioni lamentano inoltre la necessità di produrre imballaggi di legno (pallets) per i settori fondamentali. I pallets però vengono prodotti perlopiù con il legno delle conifere: non c’è quindi ragione di tagliare le latifoglie in deroga alle norme ambientali. Inoltre i pallet sono riutilizzabili. Il settore agroalimentare non utilizza pallets ma contenitori di plastica, e lo stesso vale per i prodotti farmaceutici. Non ci sono quindi attività essenziali che abbiano bisogno di un’immediata produzione di pallets.

Inoltre è legittimo chiedersi in quali condizioni sanitarie le aziende di taglio vorrebbero far operare i loro lavoratori durante la pandemia: sono tristemente note le continue violazioni delle norme basilari di tutela dei lavoratori nel settore dei tagli boschivi, dove è inoltre ampiamente diffuso il lavoro nero.

In conclusione, GUFI e ISDE ritengono che non vi sia alcuna ragione per ritenere il taglio di alberi come attività necessaria che meriti una deroga durante la quarantena; che eventuali (e da dimostrare) necessità di legname possano essere soddisfatte utilizzando il legno schiantato dalla tempesta Vaia tramite un provvedimento ad hoc, che non includa le altre foreste sul territorio italiano; e che la richiesta di riaprire il taglio nei boschi di latifoglie in deroga alle leggi a protezione dell’ambiente sia irricevibile.

GUFI e ISDE invitano tutti i cittadini che hanno a cuore la salute e l’ambiente (e conseguentemente la propria) a firmare la petizione “Taglialegna #stateacasa” sul sito Change.org all’indirizzo: http://chng.it/g9zHLWXc

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Valentina Venturi – Ufficio stampa GUFI

Mail: press@gufitalia.it | Tel: 3403386920